mercoledì 30 dicembre 2009

Eurostar


CARO direttore, è domenica 27 dicembre. Eurostar Bari-Roma. Intorno a me famiglie soddisfatte e stanche dopo i festeggiamenti natalizi, studenti di ritorno alle proprie università, lavoratori un po' tristi di dover abbandonare le proprie città per riprendere il lavoro al nord. Insieme a loro un ragazzo senza braccia.

Sì, senza braccia, con due moncherini fatti di tre dita che spuntano dalle spalle. È salito sul treno con le sue forze. Posa la borsa a tracolla per terra con enorme sforzo del collo e la spinge con i piedi sotto al sedile. Crolla sulla poltrona. Dietro agli spessi occhiali da miope tutta la sua sofferenza fisica e psichica per un gesto così semplice per gli altri: salire sul treno. Profondi respiri per calmare i battiti del cuore. Avrà massimo trent'anni.

Si parte. Poco prima della stazione di (...) passa il controllore. Una ragazza di venticinque anni truccata con molta cura e una divisa inappuntabile. Raggiunto il ragazzo senza braccia gli chiede il biglietto. Questi, articolando le parole con grande difficoltà, riesce a mormorare una frase sconnessa: "No biglietto, no fatto in tempo, handicap, handicap". Con la bocca (il collo si piega innaturalmente, le vene si gonfiano, il volto gli diventa paonazzo) tira fuori dal taschino un mazzetto di soldi. Sono la cifra esatta per fare il biglietto. Il controllore li conta e con tono burocratico dice al ragazzo che non bastano perché fare il biglietto in treno costa, in questo caso, cinquanta euro di più. Il ragazzo farfugliando le dice di non avere altri soldi, di non poter pagare nessun sovrapprezzo, e con la voce incrinata dal pianto per l'umiliazione ripete "Handicap, handicap".

I passeggeri del vagone, me compreso, seguono la scena trattenendo il respiro, molti con lo sguardo piantato a terra, senza nemmeno il coraggio di guardare. A questo punto, la ragazza diventa più dura e si rivolge al ragazzo con un tono sprezzante, come se si trattasse di un criminale; negli occhi ha uno sguardo accusatorio che sbatte in faccia a quel povero disgraziato. Per difendersi il giovane cerca di scrivere qualcosa per comunicare ciò che non riesce a dire; con la bocca prende la penna dal taschino e cerca di scrivere sul tavolino qualcosa. La ragazza gli prende la penna e lo rimprovera severamente dicendogli che non si scrive sui tavolini del treno. Nel vagone è calato un silenzio gelato. Vorrei intervenire, eppure sono bloccato.

La ragazza decide di risolvere la questione in altro modo e in ossequio alla procedura appresa al corso per controllori provetti si dirige a passi decisi in cerca del capotreno. Con la sua uscita di scena i viaggiatori riprendono a respirare, e tutti speriamo che la storia finisca lì: una riprovevole parentesi, una vergogna senza coda, che il controllore lasci perdere e si dedichi a controllare i biglietti al resto del treno. Invece no.
Tornano in due. Questa volta però, prima che raggiungano il giovane disabile, dal mio posto blocco controllore e capotreno e sottovoce faccio presente che data la situazione particolare forse è il caso di affrontare la cosa con un po' più di compassione.

Al che la ragazza, apparentemente punta nel vivo, con aria acida mi spiega che sta compiendo il suo dovere, che ci sono delle regole da far rispettare, che la responsabilità è sua e io non c'entro niente. Il capotreno interviene e mi chiede qual è il mio problema. Gli riepilogo la situazione. Ascoltata la mia "deposizione", il capotreno, anche lui sulla trentina, stabilisce che se il giovane non aveva fatto in tempo a fare il biglietto la colpa era sua e che comunque in stazione ci sono le macchinette self service. Sì, avete capito bene: a suo parere la soluzione giusta sarebbe stata la macchinetta self service. "Ma non ha braccia! Come faceva a usare la macchinetta self service?" chiedo al capotreno che con la sua logica burocratica mi risponde: "C'è l'assistenza". "Certo, sempre pieno di assistenti delle Ferrovie dello Stato accanto alle macchinette self service" ribatto io, e aggiungo che le regole sono valide solo quando fa comodo perché durante l'andata l'Eurostar con prenotazione obbligatoria era pieno zeppo di gente in piedi senza biglietto e il controllore non è nemmeno passato a controllare il biglietti. "E lo sa perché?" ho concluso. "Perché quelle persone le braccia ce l'avevano...".

Nel frattempo tutti i passeggeri che seguono l'evolversi della vicenda restano muti. Il capotreno procede oltre e raggiunto il ragazzo ripercorre tutta la procedura, con pari indifferenza, pari imperturbabilità. Con una differenza, probabilmente frutto del suo ruolo di capotreno: la sua decisione sarà esecutiva. Il ragazzo deve scendere dal treno, farsi un biglietto per il successivo treno diretto a Roma e salire su quello. Ma il giovane, saputa questa cosa, con lo sguardo disorientato, sudato per la paura, inizia a scuotere la testa e tutto il corpo nel tentativo disperato di spiegarsi; spiegazione espressa con la solita esplicita, evidente parola: handicap.

La risposta del capotreno è pronta: "Voi (voi chi?) pensate che siamo razzisti, ma noi qui non discriminiamo nessuno, noi facciamo soltanto il nostro lavoro, anzi, siamo il contrario del razzismo!". E detto questo, su consiglio della ragazza controllore, si procede alla fase B: la polizia ferroviaria. Siamo arrivati alla stazione di (...). Sul treno salgono due agenti. Due signori tranquilli di mezza età. Nessuna aggressività nell'espressione del viso o nell'incedere. Devono essere abituati a casi di passeggeri senza biglietto che non vogliono pagare. Si dirigono verso il giovane disabile e come lo vedono uno di loro alza le mani al cielo e ad alta voce esclama: "Ah, questi, con questi non ci puoi fare nulla altrimenti succede un casino! Questi hanno sempre ragione, questi non li puoi toccare". Dopodiché si consultano con il capotreno e la ragazza controllore e viene deciso che il ragazzo scenderà dal treno, un terzo controllore prenderà i soldi del disabile e gli farà il biglietto per il treno successivo, però senza posto assicurato: si dovrà sedere nel vagone ristorante.

Il giovane disabile, totalmente in balia degli eventi, ormai non tenta più di parlare, ma probabilmente capisce che gli sarà consentito proseguire il viaggio nel vagone ristorante e allora sollevato, con l'impeto di chi è scampato a un pericolo, di chi vede svanire la minaccia, si piega in avanti e bacia la mano del capotreno.

Epilogo della storia. Fatto scendere il disabile dal treno, prima che la polizia abbandoni il vagone, la ragazza controllore chiede ai poliziotti di annotarsi le mie generalità. Meravigliato, le chiedo per quale motivo. "Perché mi hai offesa". "Ti ho forse detto parolacce? Ti ho impedito di fare il tuo lavoro?" le domando sempre più incredulo. Risposta: "Mi hai detto che sono maleducata". Mi alzo e prendo la patente. Mentre un poliziotto si annota i miei dati su un foglio chiedo alla ragazza di dirmi il suo nome per sapere con chi ho avuto il piacere di interloquire. Lei, dopo un attimo di disorientamento, con tono soddisfatto, mi risponde che non è tenuta a dare i propri dati e mi dice che se voglio posso annotarmi il numero del treno.

Allora chiedo un riferimento ai poliziotti e anche loro si rifiutano e mi consigliano di segnarmi semplicemente: Polizia ferroviaria di (...). Avrei naturalmente voluto dire molte cose, ma la signora seduta accanto a me mi sussurra di non dire niente, e io decido di seguire il consiglio rimettendomi a sedere. Poliziotti e controllori abbandonano il vagone e il treno riparte. Le parole della mia vicina di posto sono state le uniche parole di solidarietà che ho sentito in tutta questa brutta storia. Per il resto, sono rimasti tutti fermi, in silenzio, a osservare.
L'autore è scrittore ed editore

domenica 6 dicembre 2009

L'ambrogino


Domani a Milano è il B day. Inteso come il Sì-B-day. Vengono consegnate le massime onorificenze cittadine, gli Ambrogini d’oro. Per intenderci, quell’ambitissimo premio che l’anno scorso è stato negato a Enzo Biagi ma che quest’anno va a Belpietro (ragazzi, stiamo parlando della giunta Moratti, cosa diavolo pretendete, è già tanto che Milano sia ancora in piedi!). Si è consumata qualche polemica, quest’anno, sul fatto che sarà premiata anche Marina Berlusconi. Non ci trovo niente di male: una grande imprenditrice che si è fatta da sé partendo da zero merita certamente il premio. Con tutti i giovani che vogliono scappare all’estero, ecco una che ha sofferto per farsi strada nella vita, ma rimane qui, in Italia, nonostante il nepotismo che ci circonda. Il metodo del premio è quello classico per evitare casino: si accontentano un po’ tutti. Alcune brave persone, molta destra, un po’ di sinistra, pezzi di società civile, la cittadinanza onoraria a Saviano (in quanto a camorra si sentirà come a casa), c’è Dolce e c’è pure Gabbana, e quindi più o meno ognuno ritira un premio e sono tutti felici. Una menzione d’onore quest’anno va al Nucleo Tutela Trasporto Pubblico. Bravi pure loro. Si tratta di una task force dei vigili urbani (35 su tre turni) addetti al rastrellamento degli stranieri irregolari sui mezzi pubblici. Funziona così: in divisa blu un po’ Rambo-style, si appostano alla fermata del tram, controllano i documenti e caricano i clandestini su un autobus con le sbarre, una galera ambulante. E poi via, verso la prossima fermata, con la loro selvaggina umana esposta come un trofeo. Il sindaco si è un po’ vergognato (stupisce che ne sia capace) e da qualche mese gli autobus con le sbarre non si vedono più, ma il servizio continua, la Lega ci tiene tanto, radici cristiane e pulizia etnica. Dunque domani si premiano i rastrellamenti insieme alla sana imprenditoria venuta su dal niente. E’ un buon B-day per Milano, Alabama.

venerdì 4 dicembre 2009

Spatuzza



Quella «piccola spada» sul potere
di Enrico Deaglio


Il primo grande pentito di mafia arrivò, inatteso, all'aeroporto di Fiumicino il 15 luglio 1984 con un volo Alitalia da Rio de Janeiro. Tommaso Buscetta, 56 anni, uno dei più grandi trafficanti di droga del mondo, scese la scaletta dell'aereo indossando uno spropositata coperta a righe orizzontali che serviva a mascherare il giubbotto antiproiettile: un’idea degli allora giovani Gianni De Gennaro e Antonio Manganelli, gli ultimi due capi della Polizia di Stato italiana. Buscetta, come era successo per la sua vasta famiglia, correva il rischio di essere fatto fuori già all'arrivo.

Un anno dopo, con doppiopetto blu, gli occhiali scuri, i capelli tinti Buscetta fece il suo ingresso nell'aula bunker di Palermo, inseguito da urla belluine che venivano dalle gabbie degli imputati.

In dodici mesi, con le sue rivelazioni a Giovanni Falcone, aveva messo al tappeto Cosa Nostra, spiegando al mondo come era fatta quell'entità della cui esistenza stessa si dubitava. Poi ci mise nove anni ad aggiungere un dettaglio: «A proposito, Cosa Nostra ha un referente politico nel presidente del Consiglio Giulio Andreotti». E mezza Italia tirò un sospiro di sollievo quando il tribunale di Palermo sentenziò che sì, Andreotti era stato colluso, ma era stato tanto tempo prima e quindi gli italiani potevano continuare ad amarlo.

È passata una generazione. Sono passati almeno millecinquecento “pentiti”, la più grande diserzione da un esercito che fa giurare ai suoi soldati «possa io morire bruciato vivo se tradirò»; ma Cosa Nostra è ancora in piedi. E oggi a Torino, Gaspare Spatuzza, definito da Gianfranco Fini «una bomba atomica», si presenta in pubblico per accusare Silvio Berlusconi di essere stato il nuovo referente di Cosa Nostra, che evidentemente ha un debole per i presidenti del Consiglio.

Spatuzza, in siciliano «piccola spada», ha 45 anni, pochissima scolarità e il soprannome di «u tignusu», ovvero il calvo. (Un calvo che accusa un trapiantato, così va il mondo). Fa parte della famiglia di Brancaccio, il sedicente quartiere industriale di Palermo, comandata dai fratelli Giuseppe e Filippo Graviano e fortemente associata ai corleonesi di Riina e Provenzano. Per loro ha strangolato, sparato, messo bombe.

È di una fedeltà assoluta, tanto da chiamare il suo capo, Giuseppe Graviano, «Madre Natura» e diventa in breve un tecnico criminale polivalente e specializzato. Nel 1992 imbottisce di tritolo la Fiat 126 usata per far saltare in aria Borsellino e la sua scorta. Nel 1993 è lui ad organizzare tutto il trasporto delle centinaia di chili di tritolo, la logistica e lo staff della campagna stragista di Roma, Firenze e Milano. L’anno dopo è nel commando che uccide don Puglisi, poi si incarica di sciogliere nell'acido il bambino Giuseppe Di Matteo.

Nel 1997, quando è ormai ai vertici della cosca, la sua carriera finisce. Gli uomini dello Sco di Antonio Manganelli lo braccano e infine, dopo una sparatoria, lo bloccano all'interno dell’ospedale Cervello. Quel giorno appare l'unica fotografia: la maglietta a strisce, la faccia dura e la pelata di un trentacinquenne inviato al 41 bis. I suoi capi Graviano ci sono già da tre anni, arrestati a Milano in un ristorante, con le mogli salite da Palermo per fare shopping e un conoscente che vuol fare conoscere a Marcello Dell'Utri il figlio dodicenne, un vero fenomeno del football,perché lo inserisca nei pulcini del Milan

È l’unica parte buona di questa storia italiana, perché Gaetano D'Agostino è effettivamente diventato un campione, star dell’Udinese e possibile convocato ai mondiali.

Per il resto, la storia è tremenda, ma è purtroppo la storia in cui viviamo da quindici anni, ancora peggiore di quella che raccontò Buscetta e per cui furono uccisi Falcone e Borsellino. Se la narrazione ufficiale racconta della discesa in campo dell’imprenditore Berlusconi, che ha modernizzato l’Italia, portandovi la freschezza e il successo della sua carriera e ricevendo in cambio l'amore e il plebiscito continuo del popolo, la versione di Spatuzza è orribilmente opposta. Dice che Berlusconi (il capo carismatico) e Dell'Utri (il fondatore del Partito) erano in affari con Cosa Nostra e che assecondarono la campagna delle stragi. Che Cosa Nostra si comportava come se le televisioni di Berlusconi fossero, almeno in parte, cosa loro, perché ci avevano messo i loro soldi, come pure nella Sardegna immobiliare e nell’edilizia milanese, che loro e Berlusconi sono saliti insieme, che Berlusconi aveva promesso di mandare a casa i carcerati e che poi non l'ha fatto, che loro gli hanno portato i voti e il potere e non hanno avuto nulla in cambio.

Gaspare Spatuzza racconta queste cose da almeno un anno ai magistrati di Palermo, di Caltanissetta, di Firenze, che lo giudicano credibile, ben informato, riscontrato. Appena ieri lo hanno ammesso nel programma di protezione: cambierà nome e quasi sicuramente avrà anche lui un trapianto di capelli.

Marcello Dell'Utri ha reagito in maniera sofferta (la testimonianza di Spatuzza potrebbe farlo condannare anche in Appello, l’eroico
sacrificio dello stalliere Mangano potrebbe non essere stato sufficiente), ma Berlusconi è stato il contrario, proponendo di fatto il rogo per tutto ciò che ha parlato di mafia: i libri, i film, le fiction, la grande intossicazione del cervello collettivo e si è riproposto come anagraficamente innocente: egli è infatti, come tutti sanno, milanese e della mafia conosce solo delle barzellette. Gli italiani capiscono, e se non capiscono con le buone, capiranno con altri metodi. Ed è significativo che consideri pericolosi solo le immagini e le parole. I politici non gli fanno paura: loro sanno già e hanno accettato.

Dopo 16 anni (anni melmosi, di sussurri e veleni) Spatuzza arriva a Torino, 1200 km a nord di Palermo. La sua presenza a Palermo è stata considerata troppo pericolosa, farlo parlare in videoconferenza è troppo poco, la Corte vuole guardarlo negli occhi, vedere quanto è davvero pentito. Lui, dopo dieci anni di carcere duro, si è convertito, chiama tutti «mio fratello in Cristo», studia teologia.

Era stato un vero Griso, che tolse duecentomila lire dal portafoglio di don Puglisi e pure le marche da bollo della patente. Era uno che con una mano rimescolava le ossa dei cadaveri nell'acido e con l'altra si mangiava un panino. Dovrà dimostrare di essere Fra Cristoforo.

Nessuno lo vedrà in faccia, forse si vedrà la punta di una scarpa dietro il paravento che in ospedale per proteggere gli altri dalla vista di un malato terminale. Si sentirà la voce, dicono che Gaspare il calvo parli un italiano comprensibile. Se avrà tentennamenti, pause, cali, bisbigli.

Torino è adatta per questa testimonianza: città efficiente, lontana, scettica e pur sempre Italia.
Le voci sono gozzaniane: ma chi è ‘sto Spatuzza? Ma c’è da fidarsi? Ma non è un po' tutta un’esagerazione? Bloccheranno il traffico? Ma era proprio necessario?

L’organizzazione è sabauda: la Polizia è incaricata di gestire il convoglio che parte dal carcere (Alessandria? Novara? Chissà?) verso il moderno Palazzo di Giustizia e poi ripartirà per destinazione ignota. Vigili allertati, al massimo una o due strade chiuse. L’elicottero che fa già flap flap. Le Procura Generale distribuisce celermente gli accrediti, molti i giornali stranieri. L'aula 1 è capiente, sta già ospitando il processo per il rogo della Tyssen. Pubblico non ce ne sarà, non siamo ai tempi del processo di Cogne, quando tanta era la folla che si decise di distribuire i bigliettini, come per le visite oculistiche della mutua: tutti volevano vedere negli occhi la mamma, se era davvero bella e se aveva gli occhi da assassina. Previsioni del tempo: nuvolo con pioggerellina al mattino, ampie schiarite nel pomeriggio. Possibilità di avviso di garanzia per concorso in associazione mafiosa con finalità di strage a Silvio Berlusconi: non calcolabile.Spirito del tempo: brutta sensazione che stia per succedere qualcosa.
04 dicembre 2009

sabato 28 novembre 2009

Minacce




La crisi rende nervosi, crea paura, confonde, e costringe molti a fare due lavori. Come non essere solidali quindi con Francesco Guzzardi, il valoroso cronista ligure de Il Giornale costretto a scriversi da sé le lettere di minaccia firmate Brigate Rosse, a consegnarle in redazione, a leggere con commozione le mail di solidarietà dei lettori? Tutto da solo! Ci chiediamo con angoscia cosa abbia dissuaso Francesco Guzzardi, questo eroe del suo tempo (e purtroppo pure del nostro) dallo spararsi in un piede, dal rapirsi da solo. Pare di vederlo, nel sonno che si urla da solo "comunista!", magari che studia come gambizzarsi e poi che dichiara (ma questo è vero): “Se chi ha scritto questo messaggio intendeva intimorirmi o addirittura costringermi a tacere, è bene che se lo tolga subito dalla testa”. Bravo Guzzardi! Non lasciarti intimorire dalle lettere di minaccia che ti scrivi! Va detto che la lettera minatoria, vergata a mano, con una stella a cinque punte e la scritta Brigate Rosse non era di quelle piacevoli. Diceva testualmente: “Non abbiamo ancora deciso se spaccare il culo prima al vostro servo Guzzardi l’infame della Val Bisagno e degli sbirri o passare prima da voi molto presto lo scoprirete” (la punteggiatura è tutta sua). Non esattamente il solito linguaggio brigatista, tanto che qualcuno si era preoccupato: dove andremo a finire se anche le Br cominciano a scrivere come un concorrente del Grande Fratello? La Digos di Genova, per fortuna, ha messo le cose a posto: è bastato far scrivere due righe al Guzzardi per capire che la vittima delle minacce e il minaccioso brigatista erano la stessa persona. Per fortuna ora è tutto chiarito, possiamo rilassarci, smettere di tremare, leggere con qualche divertimento le lettere di solidarietà all’autominacciato che se la prendono con quei cattivoni di comunisti. E magari andarsi a ripescare le dichiarazioni dei giorni scorsi sul pericolo terrorista. Il ministro Sacconi: “Prosciugare l’acqua in cui nuotano i pesci dell’eversione!”. Giusto! Bravo! Prenda un po’ di carta assorbente e vada a Il Giornale. Lì c’è da far bene.

martedì 10 novembre 2009

Giovanardi


Il cattolico feroce

di FRANCESCO MERLO



Suscita rabbia e pena, una pena grande, il sottosegretario Carlo Giovanardi, cattolico imbruttito dal rancore, che ieri mattina ha pronunziato alla radio parole feroci contro Stefano Cucchi. Secondo Giovanardi, Stefano se l'è cercata quella fine perché "era uno spacciatore abituale", "un anoressico che era stato pure in una comunità", "ed era persino sieropositivo". Giovanardi dice che i tossicodipendenti sono tutti uguali: "diventano larve", "diventano zombie". E conclude: "È la droga che l'ha ridotto così".

Giovanardi, al quale è stata affidata dal governo "la lotta alle tossicodipendenze" e la "tutela della famiglia", ovviamente sa bene che tanti italiani - ormai i primi in Europa secondo le statistiche - fanno uso di droga. E sa che tra loro ci sono molti imprenditori, molti politici, e anche alcuni illustri compagni di partito di Giovanardi. E, ancora, sa che molte persone "per bene", danarose e ben difese dagli avvocati e dai giornali, hanno cercato e cercano nei cocktail di droghe di vario genere, non solo cocaina ed eroina ma anche oppio, anfetamine, crack, ecstasy..., una risposta alla propria pazzia personale, al proprio smarrimento individuale. E alcuni, benché trovati in antri sordidi, sono stati protetti dal pudore collettivo, e la loro sofferenza è stata trattata con tutti quei riguardi che sono stati negati a Stefano Cucchi. Come se per loro la droga fosse la parte nascosta della gioia, la faccia triste della fortuna mentre per Stefano Cucchi era il delitto, era il crimine. A quelli malinconia e solidarietà, a Stefano botte e disprezzo.

Ci sono, tra i drogati d'Italia, "i viziati e i capricciosi", e ci sono ovviamente i disadattati come era Stefano, "ragazzi che non ce la fanno" e che per questo meritano più aiuto degli altri, più assistenza, più amore dicono i cattolici che non "spacciano", come fa abitualmente Giovanardi, demagogia politica. E non ammiccano e non occhieggiano come lui alla violenza contro "gli scarti della società", alla voglia matta di sterminare i poveracci; non scambiano l'umanità dolente, della quale siamo tutti impastati e che fa male solo a se stessa, con l'arroganza dei banditi e dei malfattori, dei mafiosi e dei teppisti veri che insanguinano l'Italia. Ecco: con le sue orribili parole di ieri mattina Giovanardi si fa complice, politico e morale, di chi ha negato a Stefano un avvocato, un medico misericordioso, un poliziotto vero e che adesso vorrebbe pure evitare il processo a chi lo ha massacrato, a chi ha violato il suo diritto alla vita.




Anche Cucchi avrebbe meritato di incontrare, il giorno del suo arresto, un vero poliziotto piuttosto che la sua caricatura, uno dei tanti poliziotti italiani che provano compassione per i ragazzi dotati di una luce particolare, per questi adolescenti del disastro, uno dei tantissimi nostri poliziotti che si lasciano guidare dalla comprensione intuitiva, e certo lo avrebbe arrestato, perché così voleva la legge, ma molto civilmente avrebbe subito pensato a come risarcirlo, a come garantirgli una difesa legale e un conforto civile, a come evitargli di finire nella trappola di disumanità dalla quale non è più uscito. Perché la verità, caro Giovanardi, è che gli zombie e le larve non sono i drogati, ma i poliziotti che non l'hanno protetto, i medici che non l'hanno curato, e ora i politici come lei che sputano sulla sua memoria. I veri poliziotti sono pagati sì per arrestare anche quelli come Stefano, ma hanno imparato che ci vuole pazienza e comprensione nell'esercizio di un mestiere duro e al tempo stesso delicato. È da zombie non vedere nei poveracci come Cucchi la terribile versione moderna dei "ladri di biciclette". Davvero essere di destra significa non capire l'infinito di umiliazione che schiaccia un giovane drogato arrestato e maltrattato? Lei, onorevole (si fa per dire) Giovanardi, non usa categorie politiche, ma "sniffa" astio. Come lei erano gli "sciacalli" che in passato venivano passati alla forca per essersi avventati sulle rovine dei terremoti, dei cataclismi sociali o naturali.

Giovanardi infatti, che è un governante impotente dinanzi al flagello della droga ed è frustrato perché non governa la crescita esponenziale di questa emergenza sociale, adesso si rifà con la memoria di Cucchi e si "strafà" di ideologia politica, fa il duro a spese della vittima, commette vilipendio di cadavere.
Certo: bisogna arrestare, controllare, ritirare patenti, impedire per prevenire e prevenire per impedire. Alla demagogia di Giovanardi noi non contrapponiamo la demagogia sociologica che nega i delitti, quando ci sono. Ma cosa c'entrano le botte e la violazione dei diritti? E davvero le oltranze giovanili si reprimono negando all'arrestato un avvocato e le cure mediche? E forse per essere rigorosi bisogna profanare i morti e dare alimento all'intolleranza dei giovani, svegliare la loro parte più selvaggia?

Ma questo non è lo stesso Giovanardi che straparlava dell'aborto e del peccato di omosessualità? Non è quello che difendeva la vita dell'embrione? È proprio diverso il Dio di Giovanardi dal Cristo addolorato di cui si professa devoto. Con la mano sul mento, il gomito sul ginocchio e due occhi rassegnati, il Cristo degli italiani è ben più turbato dai Giovanardi che dai Cucchi.

lunedì 2 novembre 2009

Il film scandaloso


Gira un filmino scandaloso, una cosa davvero schifosa e impresentabile, un film concepito per il ricatto che se dovesse uscire farebbe vergognare chiunque. E’ il filmino dell’Italia. Il paese dove ti ammazzano in galera spezzandoti la schiena in due punti, il posto dove i carabinieri tentano l’estorsione. Il paese che sta nelle prime posizioni mondiali per diseguaglianza economica, il posto dove un cittadino su quattro sotto i 25 anni è disoccupato. Nel filmino si vede tutto questo e altro ancora, un po’ sgranato, ma si vede tutto bene: mica è il Tg1!. Ho tentato di venderlo e di farmi un gruzzoletto, perché mi adeguo alla morale corrente. Il Giornale ha visionato ma non l’ha preso. Libero ha guardato ma ha deciso: no, grazie. Nel filmino c’è tutto quello che c’è da sapere: i capitali mafiosi che rientrano anonimi con la modica spesa del cinque per cento, vita e opere di Dell’Utri, le leggi per farla franca, due o tre morti sul lavoro ogni giorno, la libertà di stampa ai minimi storici e il papello dei patti con la mafia. Filmino lungo, è vero, ma meno noioso del Barbarossa che ci è pure costato dei soldi. Questo è gratis. Ci sono i nazi che accoltellano gay e stranieri, ma di cui fa fico parlare come se fossero intellettuali un po’ ribelli. Ci sono gli imprenditori sovvenzionati che chiedono soldi. Ci sono i giovani imprenditori, loro figli, che chiedono soldi. Ci sono ministri che difendono le radici cristiane e adorano il dio Po, il dio Eridano e chissà quale altra puttanata celtica. C’è ancora Cossiga. C’è ancora Andreotti. Ci sono i militari per le strade “per la nostra sicurezza”.Ci sono ministri che dicono viva il posto fisso dopo aver creato milioni di precari. Nel filmino si vedono avvocati che studiano come accorciare la prescrizione, come spostare i processi, come evitare grane al capo. L’ho mandato a Signorini, a Chi, che ha detto: ne parlo con Marina. Marina ha detto: ne parlo con papà. Papi ha visto e ha detto: embé? L’Italia è il paese che io amo. Ecco, mi pareva.

giovedì 29 ottobre 2009

lunedì 5 ottobre 2009

sabato 19 settembre 2009

Gioco


Quindi il nuovo gioco dell momento è la caccia ai gay. Bisogna comprendere: gli zingari avevano già stufato da un pezzo, e poi i campi nomadi hanno fatto finta di chiuderli in tutta Italia, dopo averne incendiato anche più d’uno a scopo dimostrativo. I negri clandestini anche, avevano stufato, e poi si ammazzano da soli stando per più di venti giorni in mezzo al mare, senza cibo e senza acqua. Va bene, lo so che siamo il Paese in cui si portavano panini con la mortadella e le bottigliette dell’acqua, fuori da un ospedale nel quale da anni una giovane donna morta veniva costretta alla vita larvale da un Parlamento di bigotti, ma c’è vita umana e vita umana. Quella negra è la vita umana del terzo tipo, del quarto mondo. Volevano giocare un po’ con i meridionali, e avevano iniziato bene inventandosi l’esame di dialetto prima per i presidi, poi per il corpo docente, ma hanno dovuto ripiegare alle sole badanti – di razza inferiore – e alle squadre di calcio. Non avevano fatto bene i conti, e non avevano ancora calcolato le percentuali di elettori che avrebbero potuto rivoltarsi. E allora che si inizi pure la caccia al gay, in fondo è il «diverso» per antonomasia. Per un accoltellamento di un gay, per un incendio di un locale di ritrovo per gay non si incavolerà nemmeno la Chiesa. E a proposito della Chiesa, trovo curioso e divertente lo scannarsi con la Lega. Peccato che un leghista qualunque non si fermi a ricordare i bei monologhi di certi personaggi vestiti di verde, che rivendicavano le profonde radici cristiane della Padania, e invocavano le guerra santa contro i musulmani che arrivano a frotte in Italia, per il solo gusto di far sparire i crocefissi. I comunisti verrano dopo i gay, o toccherà davvero ai meridionali? C’è solo da attendere, e nemmeno tanto. L’Italia è oramai un Paese in continua evoluzione.

domenica 13 settembre 2009

La Lega e la memoria di Peppino Impastato


C’era da immaginarselo, mancava solo la scintilla e la bomba del contrasto tra la nostra realtà e la Lega sarebbe scoppiata. Il Sindaco di Ponteranica con la sua decisione autoritaria e antidemocratica di cancellare dalla Biblioteca del paese il nome di Peppino ha avvicinato il cerino alla miccia. Da tempo non riuscivamo a tollerare l’atteggiamento di questo partito di esaltati che ha finito per condizionare le sorti della nostra democrazia.
Sembra quasi paradossale che un paese come il nostro destinato anche dalla sua posizione geografica all’accoglienza e agli scambi interculturali, alla fusione delle etnie e ad essere la porta d’Europa verso l’Oriente e l’Africa sia finito nelle redini di questi nuovi barbari senza radici e senza cultura.
E’ logico che tali soggetti non conoscano affatto l’importanza della memoria storica e delle battaglie civili condotte in terra italiana e considerino Peppino e la sua lotta come un rifiuto ingombrante da eliminare che ricorda troppo un vecchio passato politico fatto di ideali, di sogni, di sconfitte e piccole rivoluzioni. Un passato che, in realtà, non ha mai smesso di esistere, ma che rivive nella determinazione di quanti continuano ad impegnarsi perché credono nell’alternativa possibile alla degenerazione sociale e politica e vengono continuamente calpestati da questi politicanti populisti, ignoranti, incapaci di democrazia. Sembra quasi che il mondo politico oggi raccolga quanto di peggiore ci sia nella società e soprattutto la Lega funziona perfettamente da pattumiera, riciclando anche qualche fascista che già puzza di marcio. Immaginate un Borghezio o un Calderoli qualsiasi ricoprire un qualsiasi altro ruolo o occupazione lavorativa, chessò all’ufficio postale o alla bancarella del mercato, come cameriere al ristorante o come addetto alla reception di un albergo; come autista di un autobus o ancora come infermiere che accolga al pronto soccorso: riuscirebbero a dimostrare quella minima comprensione, quella minima pazienza o tolleranza che sono necessari per relazionarsi con le persone e superare anche le piccole difficoltà? Immagino di no.
Ecco, Peppino era l’esatto contrario, aveva sì grinta da vendere e forza d’animo, ma sapeva investirla in operazioni costruttive, la nutriva con i suoi sogni, che trasmetteva anche agli altri al contrario di chi sparge invece incubi e angoscia. Peppino ascoltava, recepiva, accoglieva a braccia aperte, come fece con l’unico ragazzo mulatto che girava a Cinisi negli anni ’60, figlio di una relazione di una cittadina del paese con un soldato afro-americano che da giovane disadattato ed emarginato divenne uno dei suoi migliori compagni di lotte e divertimenti al mare.
Possibile che il popolo italiano sia caduto così in basso da accordare il proprio appoggio a chi sta compiendo ancora oggi nel 2009 terribili atti razzisti e criminali, costringendo migliaia di nostri simili ad una sicura morte nelle acque del Mediterraneo o all’abbandono nei campi di segregazione libici e nelle prigioni dove la tortura è il pane quotidiano? Possibile che siamo così pronti a portarci sulla coscienza il peso di così tante vite spezzate o distrutte?
Sono contento che un partito come la Lega sia contrario alla memoria di mio fratello, perché in effetti nulla ha a che fare con loro e con la loro voglia di sopraffazione e di violenza, con la vergognosa segregazione consumata ai danni non solo dei migranti, ma anche dei cittadini del meridione, degli omosessuali e di quanti non rientrino nei loro standard: alto, biondo, camicia verde e spirito folle e sadico. Cos’è questo, il nuovo hitlerismo, oltre che il nuovo fascismo? Davvero è cambiato solo il colore delle insegne?
Non ci rendiamo nemmeno conto che questi che si dicono conservatori e tutori delle tradizioni e delle culture locali, in realtà, stanno cancellando tutto lo spirito tradizionale che animava le nostre comunità, tutte le nostre sonorità, il nostro bagaglio di culture e di gioie, sostituendolo con stronzate sulla falsa origine celtica dei padani, simboli e bandiere senza radici storiche e leggende che sembrano inventate da un sceneggiatore di film di serie c o di scarse fiction televisive.
Voglio ancora sperare che tutto questo possa sparire, che gli Italiani abbiano ancora un briciolo di orgoglio per ribellarsi, per liberare il paese da quelle storture che sono la mafia al sud e la lega al nord, rifacendoci all’ignoranza di quanti sostengono che la criminalità organizzata sia un problema esclusivamente meridionale.
Per questo invito tutti il 26 settembre a Ponteranica, non solo per difendere la memoria di Peppino, ma anche la dignità di questo paese.

lunedì 7 settembre 2009

Regali originali


WASHINGTON - Ha un valore di 460 mila dollari il prezioso volume dalla copertina in marmo donato dal premier Silvio Berlusconi al collega canadese Stephen Harper in occasione del G8 all'Aquila, secondo gli esperti canadesi citati dal quotidiano 'Toronto Star'.
Il libro su Antonio Canova, con la copertina in marmo di Carrara e dal peso di 25 kg, era stato donato ai leader dei paesi partecipanti al vertice. Il volume è stato prodotto in un numero limitatissimo di esemplari ed al Canada è toccata la copia numero uno.

Il premier canadese non potrà tenere per sè il prezioso volume: la legge federale proibisce ai politici di accettare doni dal valore superiore ai mille dollari. Il libro, di proprietà del governo, finirà quindi in un museo.

domenica 6 settembre 2009

Trasformismo


http://www.youtube.com/watch?v=9blS8S_J_I4

mercoledì 2 settembre 2009

Padre e figlio


Torino
È l’unico cognome italiano sul citofono. Via Monterosa, vecchia casa di Barriera, odori che si mischiano: aglio, pesci fritti, menta. È l’ora di cena. Interno cortile. Le finestre sono spalancate sui fatti degli altri. Alle otto di lunedì sentono urlare dalla cucina degli italiani. Insulti al secondo piano. Un ragazzino, 16 anni, piange. Poi grida anche lui. Volano piatti. Minacce, botte. La situazione sta degenerando. Qualcuno chiama i carabinieri.

La prima segnalazione parla genericamente di una «lite animata in famiglia». Un intervento banale, ogni giorno ce ne sono tanti. Arriva un equipaggio del nucleo radiomobile. I militari salgono, vanno a vedere. La situazione in effetti è ancora molto tesa. Padre contro figlio. E viceversa. Ma dietro quella lite in famiglia, scoprono, dopo aver parlato con entrambi, c’è un motivo particolare. «Gli ho detto che sono omosessuale», ha spiegato il ragazzino. «Lui lo sa benissimo, ma non vuole accettarlo». Il padre conferma. La madre piange nell’angolo. I carabinieri fanno tornare la calma. Verificano che nessuno si sia ferito seriamente. Solo qualche livido, escoriazioni, rabbia viva. Non ci sono gli estremi per denunciare qualcuno. Spiegano che si può «procedere solo con una querela di parte».

Il giorno dopo il clima in via Monterosa è ancora teso. Un vicino racconta: «È la seconda volta in pochi giorni che devono intervenire le forze dell’ordine. Anche la polizia è stata al secondo piano. I rapporti con quel ragazzino sono molto tesi».
Il padre, origini pugliesi, faccia pallida da chi ha lavorato tutto agosto, è un uomo di cinquant’anni. Fa il muratore. Scende a parlare, molto provato: «Non è successo niente. Sono fatti nostri. Questa storia non deve uscire da qui». Il fratello maggiore, 19 anni, è sulla stessa lunghezza d’onda: «Non c’è niente da dire, nulla di nulla. Niente da spiegare. Cose nostre. Altrimenti finisce male».
Forse il ragazzino vorrebbe dire la sua. Ma non esce di casa per tutta la mattina. La madre chiude le persiane sul ballatoio: «Sono fatti di famiglia. È un brutto dolore, lasciateci stare».

Non è possibile conoscere dal diretto interessato questa storia. Anche il telefono di casa squilla a vuoto. Nessuno risponde.
«È un ragazzino basso di statura, timido, molto gentile - dice un vicino - va a scuola, studia, passa i pomeriggi ai giardinetti qui dietro». Non ieri. Non dopo le botte in casa. «Sono gay - ha detto - voglio soltanto essere accettato». Ma il padre si opponeva, prima a parole, poi come una furia, come se fosse una decisione negoziabile.
Ai giardini lo conoscono quasi tutti. Sulle panchine qualcuno ha fatto alcune scritte sul tema: «... è frocio». Ma anche qui non è facile trovare persone che abbiano voglia di parlare dell’argomento. «Il padre soffre tantissimo per questa storia, lasciatelo perdere. È una vera disgrazia».

Per fortuna nel palazzo abita Rachid, un ragazzo marocchino di 25 anni. Lui ha capito benissimo quello che sta succedendo, anche senza bisogno di spiegazioni. «L’altra sera ho sentito il litigio. Non è la prima volta che succede. Ma è stato particolarmente violento. Ce l’hanno con il figlio minorenne. Per me è un bravissimo ragazzino, un tipo a posto, simpatico, qui gli vogliamo tutti bene. Ma ho sentito troppa rabbia in quella casa, non è giusto. Il piccolo italiano non va lasciato solo».

martedì 1 settembre 2009

Feltri/boffo




Prima di dare a Feltri ciò che è di Feltri, bisognerà pur dire qualcosa anche su Dino Boffo, direttore dell’Avvenire, il quotidiano della Conferenza episcopale italiana. Cioè del quotidiano che non ha mai detto una parola contro le leggi vergogna, le corruzioni, i rapporti con la mafia, gli attacchi alla magistratura e alla Costituzione, i conflitti d’interessi del presidente del Consiglio, e s’è svegliato appena appena dal letargo soltanto quando s’è scoperto che il premier aveva una vita sessuale piuttosto intensa e poco compatibili con un partecipante al Family Day, sedicente difensore della famiglia tradizionale di Santa Romana Chiesa. Come se andare a puttane fosse più grave che trescare con stallieri e mazzette. Siccome abbiamo battezzato il nostro nuovo giornale Il Fatto Quotidiano, non possiamo certo ignorare il Fatto emerso dal cosiddetto “scontro fra Feltri e il Vaticano”.

E cioè che il direttore di Avvenire, che s’è fieramente opposto ai diritti per le coppie omosessuali, ha patteggiato a Terni una pena pecuniaria di 516 euro per aver molestato la compagna di un tizio che, secondo quel che risulta dagli atti giudiziari, aveva con lui una relazione omosessuale; e, per ottenere il ritiro della querela, ha pure risarcito con una forte somma la vittima delle molestie. Boffo ha affidato la sua autodifesa al Corriere di ieri, sostenendo che le molestie sarebbero opera non sua, ma di un giovane tossicodipendente che lui aveva “aiutato” prendendolo come suo assistente o qualcosa del genere, giovane che avrebbe usato il suo telefonino per molestare la signora. Il giovane, quando si dice la combinazione, è poi morto di overdose e dunque non può né confermare né smentire la versione di Boffo. Ammesso e non concesso che le cose siano andate così, non si vede perché mai Boffo abbia patteggiato la pena: la responsabilità penale è personale, e dunque nessun giudice l’avrebbe mai condannato per un reato commesso da un altro, sia pure usando il suo telefonino. Ci permettiamo dunque di dubitare della versione di Boffo, visto che lui stesso l’aveva ritenuta così poco credibile da non tentare nemmeno di proporla al giudice in dibattimento, preferendo patteggiare prima di finire in tribunale, cioè dopo il rinvio a giudizio.

Resta da capire perché mai i vescovi italiani, che qualche mese fa avevano ricevuto in forma anonima la sentenza di patteggiamento, non abbiano ritenuto di accertarne la fondatezza e di sostituire il direttore di Avvenire. Non perché Boffo risultasse, dagli atti del processo, un omosessuale, ma per altri due motivi: il suo essere omosessuale non era affatto coerente con le posizioni di Boffo e dei vescovi italiani sugli omosessuali; e un patteggiamento per molestie dovrebbe essere incompatibile con un quotidiano e un’associazione (la Cei) che difende – in questo caso giustamente – i diritti della persona umana.

Se oggi è comprensibile e forse doverosa la solidarietà che i vescovi hanno tributato a Boffo, ieri, quando hanno appreso la notizia del patteggiamento, quella solidarietà è semplicemente incomprensibile e sconcertante. Senza contare che, nel paese dei ricatti e dei ricattatori, sarebbe consigliabile non essere ricattabili (lo dico en passant, ma un anno fa D’Avanzo fece quel che oggi giustamente stigmatizza in Feltri, sbattendo in prima pagina il sottoscritto a proposito di vacanze pagate da un mafioso: con la lievissima differenza che il fatto era falso di sana pianta, come ho potuto documentare per tabulas, mentre il patteggiamento di Boffo è vero).

Che cosa c’è di vergognoso, allora, nello “scoop” del Giornale? Che cosa c’è che non funziona nella posizione di Feltri, il quale sostiene di aver scritto semplicemente la verità?

Tre aspetti. 1) La notizia della condanna di Boffo è vecchia di cinque anni e circolava nelle redazioni da tempo, tanto che era già stata addirittura pubblicata su giornali e siti internet (il blog di Adinolfi anni fa e il settimanale Panorama a giugno). Quando uno riceve una notizia, controlla se è autentica e se ha un interesse pubblico, poi la mette in pagina con il giusto rilievo. Ovviamente la notizia era vera e di interesse pubblico, ma non meritava il titolo principale della prima pagina. Perché pubblicarla (anzi, riciclarla) con quel rilievo e proprio ora? 2) Feltri, con la spudoratezza che gli è propria, l’ha spiegato nell’editoriale di accompagnamento. “La Repubblica da tempo si dedica alla speleologia e scava nel privato del premier (come se la notizia che la moglie del premier lo definisce un malato e lo accusa di andare con le minorenni e quella che il premier è stato cliente di una prostituta poi candidata nelle liste del Pdl alle comunali di bari fossero notizie private, ndr) e l’Avvenire ha messo mano al piccone per recuperare materiale adatto a creare una piattaforma su cui costruire una campagna moralistica contro Silvio Berlusconi… Se il livello della polemica è basso, prima o poi anche chi era abituato a volare alto (Feltri!, ndr), o almeno si sforzava di non perdere quota, è destinato a planare per rispondere agli avversari”.

Prima parola chiave: “avversari”. Feltri confonde gli avversari di Berlusconi con quelli di uno che, fino a prova contraria, dovrebbe essere un giornalista. Dunque smette di essere un giornalista e rivendica il diritto di randellare gli “avversari” del suo padrone. E aggiunge minaccioso: “Cominciamo da Dino Boffo, 57 anni…”. Come sarebbe a dire “Cominciamo”?

L’abbiamo capito l’indomani, quando anche Ezio Mauro, altro “avversario”, ha assaggiato il randello feltriano a proposito delle modalità di acquisto della sua casa (altra notizia stranota, ma debitamente montata, riciclata e sbattuta in prima pagina). Dobbiamo pensare che esiste una lista di “avversari” da colpire uno al giorno, come quella a suo tempo stilata dall’analista del Sismi Pio Pompa (il reclutatore di Renato Farina, in arte Betulla, condannato a pena patteggiata per concorso nel sequestro di Abu Omar, espulso dall’ordine dei giornalisti per essere stato prezzolato dai servizi segreti e dunque eletto deputato nel Pdl e appena rientrato al Giornale al seguito di Feltri), che li additava al premier Berlusconi e proponeva di “neutralizzarli e disarticolarli anche con azioni traumatiche”? Chi ha notizie interessanti e vere le pubblica subito e basta: non le tiene nei cassetti per tirarle fuori quando chi ne è protagonista dà fastidio al suo padrone. 3) L’articolo del Giornale riporta, oltre alla sentenza di patteggiamento, una cosiddetta “nota informativa che accompagna e spiega il rinvio a giudizio del grande moralizzatore disposto dal Gip del Tribunale di Terni il 9 agosto del 2004… ‘Il Boffo – si legge – è stato a suo tempo querelato da una signora di terni destinataria di telefonate sconce e offensive e di pedinamenti volti a intimidirla, onde lasciasse libero il marito con il quale il Boffo, noto omosessuale già attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni, aveva una relazione’…”. L’altro giorno D’Avanzo aveva giustamente messo in dubbio l’esistenza di questa “informativa”: sia perché è impensabile che la Polizia di uno Stato democratico “attenzioni”, cioè schedi le persone per i loro orientamenti sessuali; sia perché è assurdo immaginare che un giudice alleghi all’ordinanza di rinvio a giudizio (a carico di un tizio ancora da giudicare in tribunale) una “nota informativa” che racconta il patteggiamento (avvenuto ben dopo il rinvio a giudizio).

Ieri Paolo Foschini, sul Corriere, ha pubblicato quella nota: che non è affatto un documento giudiziario o poliziesco allegato al rinvio a giudizio di Boffo, bensì una lettera anonima giunta a diversi vescovi allegata alla sentenza di Terni. Lettera anonima che il Giornale ha riportato in alcuni passi testuali, spacciandola per “nota informativa che accompagna e spiega il rinvio a giudizio del grande moralizzatore disposto dal Gip del Tribunale di Terni il 9 agosto del 2004”. Un anonimo, che nessuno sa da chi sia stato scritto, nè perché, nè in base a quali informazioni, che il Giornale ha consacrato falsamente con i crismi dell’ufficialità per sputtanare ulteriormente Boffo. Come se non lo fosse già di suo. Ma anche per intimidire tutti gli altri “avversari” del premier, cioè del Giornale. Roba da riabilitare Pecorelli.

sabato 29 agosto 2009

Il moralizzatore sputtanato



Dino Boffo è un altro moralista omofobo, in prima linea, schierato con Mastella e con Ratzinger e con molti divorziati, Berlusconi compreso, per il "Family Day", manifestazione fascista contro gli omosessuali. Feltri ha fatto bene a sputtanarlo. Ma il direttore del Giornale ha un limite: non ha sputtanato Boffo per andare dietro ad un nobile principio di libertà, lo ha fatto per difendere l'indifendibile Berlusconi, eterosessuale irrequieto, altro Signore ipocrita presente al Family Day col titolo di "Cavaliere Hardcore". Sì, la Chiesa di Ratzinger e il suo Boffo di turno di omofobia colpiscono ed evangelicamente di omofobia periscono, ci consola il fatto che Dino boffo all'Avvenire non ha piu' possibilita' di farci la morale
..forse possiamo farla noi la morale a lui

lunedì 24 agosto 2009

I non credenti



Non penso ci sia bisogno di commenti

giovedì 23 luglio 2009

venerdì 10 luglio 2009

galline e uomini


La mia vita è monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio perciò. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi faranno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me, è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell'oro, allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano... Disse la volpe: ecco il mio segreto. È molto semplice: non vedo bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi.

domenica 5 luglio 2009

Che' cos' è uno scherzo???


Il Senato sta per approvare la legge bavaglio-guinzaglio per la cronaca giudiziaria e per le intercettazioni della magistratura. L’on. Carolina Lussana (Lega Nord) prepara il bavaglio anche per Internet, vietando di pubblicare persino le condanne dopo un po’ di anni in nome del “diritto all’oblio” (l’ideale, nel paese dei senza memoria). Il ministro Tremonti, dopo aver giurato “mai più condoni”, apparecchia l’ennesimo condono per i grandi evasori camuffato da ”scudo fiscale”, che poi è un’operazione di riciclaggio di Stato: chi ha accumulato soldi sporchi all’estero (perché guadagnati con traffici di droga, armi, persone o perché sottratti al fisco) potrà farli comodamente rientrare pagando una tassa del 4-6% anzichè del 45%. Così lo Stato farà concorrenza alle “lavanderie” criminali, che per 100 euro sporchi ne restituiscono 50-60 puliti (lo Stato, invece, ne restituirà 94-96). A Bari non passa giorno senza che emergano nuove porcherie nella Puttanopoli di Al Tappone e dei suoi amici papponi e/o spacciatori. Il premier, fra una escort e l’altra, partecipa a simpatiche cenette con giudici costituzionali che dovranno valutare la costituzionalità del Lodo Al Fano che gli regala l’impunità, alla presenza dello stesso Al Fano e del solito Letta. Il governo del malaffare affida i lavori per la prima “new town” nell’Abruzzo terremotato al socio di tre soci del mafioso don Vito Ciancimino. E nessuno dice niente. A parte il capo dello Stato, che comprende “le ragioni dell'informazione e della politica”, ma auspica “una tregua nelle polemiche fino al G8”. Che cos’è, uno scherzo?

lunedì 29 giugno 2009

Un paese senza niente


Un paese cupo. Da un po' di giorni i maggiori giornali italiani pubblicano foto di Berlusconi piuttosto corrucciate, e non c'è da stupirsi, l'aria dei suoi collaboratori è da: si salvi chi può. E la stampa inglese continua a dire che siamo agli ultimi giorni dell'impero, e che sicuramente Silvio si ritirerà. Cose tutte da dimostrare, e al momento piuttosto lunari. O a Londra sanno cose che ai giornalisti italiani non vengono dette, o forse sta accadendo qualcosa di peggio. Fuori dall'Italia nessuno ci capisce più nulla. E il nostro sta diventando un paese indecifrabile, dove avvengono cose che in paese normali di solito non accadono. E non si tratta soltanto del premier, delle escort, delle feste e delle inchieste. Tutto si è sfaldato. Tutto ha perso di valore.
Se anziché utilizzare degli indici economici per dire in che posizione mondiale siamo utilizzassimo degli altri indici, scopriremmo che siamo forse al duecentesimo posto. Per le nostre università, che quasi non compaiono nelle prime cento del mondo, per i nostri autori e i nostri libri, che nessuno traduce più, per i nostri film, che arrancano nei festival e sono brutti e mosci, per i nostri istituti di cultura all'estero, ridotti a niente, gestiti per buona parte da incompetenti, o da gente che vuole passarsi una vacanza in qualche capitale europea a spese del ministero degli Esteri. Per i nostri musei, tornati a una consuetudinaria inefficienza. Per i nostri giornali, e va detto anche questo, sempre più in caduta libera, sempre più in crisi di idee e e di lettori. E non perché siamo un paese che non legge, ma perché siamo un paese che non si fa leggere. Siamo duecentesimi al mondo, perché non sappiamo generare classe dirigente, duecentesimi al mondo perché non abbiamo formato giovani in grado di sostituirsi nei ruoli chiave. E non solo perché i vecchi impediscono il ricambio, ma perché siamo riusciti a fare un miracolo: le nostre giovani generazioni hanno coltivato in vitro i peggiori difetti delle vecchie, e sono già inservibili. Siamo cupi, abbiamo paura di dire la verità, pensiamo che un congresso di partito non si possa convocare se gli accordi non sono stati fatti prima. Fingiamo di vedere il nuovo dove il nuovo non c'è. E continuiamo a farci de male. Ma soprattutto siamo un paese incompentente, incompetente in tutto. Un paese di dilettanti allo sbaraglio. Guidati dal più gigantesco tra i dilettanti. Lui, quel premier che incarna quello che siamo diventati, con la complicità di tutti. E allora, di cosa possiamo lamentarci?

venerdì 26 giugno 2009

domande

martedì 23 giugno 2009

sabato 13 giugno 2009

A Milano debuttano le ronde nere







MILANO - Dicono di essere 2.100 in tutta Italia, pronti a indossare una divisa con camicia grigia o kaki, basco con aquila imperiale romana, una fascia nera al braccio con impressa la 'ruota solare' simbolo del nascente Partito nazionalista italiano, che sarà guidato da Gaetano Saia, e pantaloni neri con striscia gialla o grigi. Sono i volontari della Guardia nazionale italiana, pronti a pattugliare le strade 24 ore su 24, affiancando le ronde padane, non appena sarà in vigore il disegno di legge sulla sicurezza.

Le cosiddette 'ronde nere' - la versione definitiva delle divise è ancora da decidere - sono state presentate questa mattina a Milano, durante un convegno nazionale dell'Msi (Movimento sociale italiano).

mercoledì 10 giugno 2009

Grillo - iniziativa popolare presentazione ddl


Limite di due legislature per parlamentare, elezione nominale e nessun inquisito
nelle aule di Montecitorio e Palazzo Madama. Beppe Grillo ha presentato alla commissione Affari costituzionali del Senato il ddl di iniziativa popolare di riforma della legge elettorale. Il comico e blogger non ha risparmiato critiche alla classe politica: «Quasi due anni dopo la raccolta delle firme per la legge di iniziativa popolare "Parlamento Pulito" - ha iniziato - ho l'onore di essere ricevuto e ascoltato come primo firmatario della proposta di legge. Due anni per parlare alla Commissione Affari Costituzionali. Una Commissione che valuterà le tre richieste: nessun condannato in Parlamento, limite di due legislature per ogni parlamentare, elezione nominale del candidato. Due anni di attesa per una legge firmata da 350.000 persone. È uno scandalo che 350.000 cittadini italiani non siano stati neppure considerati per due anni».

INDAGATI - «È uno scandalo - ha poi ripetuto Grillo - che siano presenti in Parlamento 20 condannati in via definitiva. Uno schifo che 70 dei nostri rappresentanti siano stati indagati e condannati. Parlamentari come Cuffaro e Dell'Utri sono stati eletti per meriti giudiziari. Sei persone hanno scelto chi mandare in Parlamento: amici, avvocati e, scusate, anche qualche zoccola. Dovreste cominciare a preoccuparvi - ha aggiunto - di gente come De Magistris e Sonia Alfano che hanno ottenuto centinaia di migliaia di preferenze senza avere televisioni o altri mezzi».

LODO ALFANO E INFORMAZIONE - «Oggi - sottolinea Grillo - viene approvata una legge che limita le intercettazioni e mette il bavaglio all’informazione. Io sarò, presumo, il primo condannato perché farò disubbidienza civile. Il primo pensiero dello psiconano non è il Paese, ma sempre e solo non farsi beccare. Avete approvato il lodo Alfano per evitare che Berlusconi finisse in galera, ora volete limitare il diritto del cittadino ad essere informato». Secondo Grillo, però, «la marea sta montando, lo psiconano può fare comizi ormai solo nelle piazze chiuse, in cui fa entrare come a Firenze, come a Prato, solo la sua claque. Ha inventato la piazza chiusa, lo difendono la sua scorta e gli avvocati. Gli sono rimasti quelli, insieme a uno stuolo di giornalisti definiti servi dalla stampa estera. Gli italiani non stanno più con lui, e tantomeno con chi gli ha permesso come Violante e Fassino per 15 anni di superare ogni conflitto di interesse».

TENSIONI - L'audizione di Beppe Grillo registra anche qualche momento di 'frizione' con i senatori presenti. Quando il comico genovese usa l'espressione «siete anti-storici, siete vecchi, lontani dalla realtà», la vice presidente Maria Fortuna Incostante (Pd), che fa le veci di Carlo Vizzini che non presiede, lo interrompe e dice: «Se dobbiamo usare questi toni allora usciamo da questa stanza e ci insultiamo reciprocamente fuori». Grillo, allora chiarisce: «Intendevo vecchi nel concetto di politica, non nel fisico. Voi andate da una parte e il mondo da un'altra».

sabato 6 giugno 2009

contestazioni


Suona un po’ ridicolo e démodé, l’articolo 654 del codice penale, un articolo vintage che sa di ventennio (quello là) e che dunque ben si adatta al ventennio (questo qua): “grida e manifestazioni sediziose”, nientemeno. La denuncia parte dal vicequestore di Lecco Guglielmino e colpisce un giovane della stessa città, Duccio Facchini. Inopinatamente sedizioso il contesto: mentre il ministro La Russa era in visita a Lecco per sostenere il suo candidato alla provincia e rilasciava copiose interviste, il ragazzo urlava, dall’altro lato della piazza, frasi come “La Russa chiedi scusa all’Onu”, o anche “E ve la prendete coi i migranti”. Tutto qui. Non una sberla (a parte quelle incassate dal Facchini, zittito dalla polizia), non un contatto fisico, solo qualche urlo, ma abbastanza per far saltare i nervi al ministro e al suo codazzo. E poi tutto rigorosamente documentato in video e finito su Youtube, compreso lo sprezzante ordine gracchiato da La Russa: “Se lo possiamo identificare e portare via…”. Un piccolo caso di provincia, dunque, una quotidiana e normale dimostrazione di arroganza del potere, cose che non finiscono nei giornali, nei tg tantomeno, figurarsi (sacrilegio!). Non come quando gruppetti di giovinotti contestavano ogni uscita di Prodi, e non solo nessuno li “identificava”, ma diventavano l’apertura dei Tg del comitato elettorale Mediaset (ringraziamo Mentana per la definizione, ai tempi ne faceva ancora parte).
Eppure, qualcosa emerge. Piano piano, a poco a poco, come relitti in mare, mille episodi affiorano. Non passa giorno che sulle colonne dei giornali della sinistra, o in rete, qualcuno non lamenti di essere stato “identificato”. Spuntano minuscole notizie. La Gelmini contestata in Brianza chiama “pirla” i contestatori e poi dice di averlo fatto per stemperare gli animi. Non un cenno nei tg, per esempio sulla contestazione per Berlusconi a Firenze (sui cartelli, i titoli dei giornali stranieri). Non una riga per la carica della polizia a Prato, dove poche centinaia di persone assolutamente pacifiche vengono malmenate. Anche in questi casi tutto sta su Youtube, è lì da vedere. Alla fine si arriva ai grandi numeri. I due ragazzi che a Napoli urlano a Berlusconi: “Non venire più in Abruzzo, ci rovini!”. Identificati. Tra i cittadini che a Firenze hanno fischiato il premier: 15 identificati. Qualcuno fischia fuori dalle tendopoli abruzzesi. Identificato. Senza contare le situazioni in cui le contestazioni non arrivano nemmeno all’onore delle cronache, nemmeno al trafiletto, e tocca addirittura al contestato darne conto. Le agenzie battono: “A Bari i contestatori erano uno sparuto gruppetto” e le virgolette sono di esponenti Pdl, cioè si dà il commento (sprezzante) ma non la notizia. E sul corteo de L’Aquila, nemmeno una riga, silenzio obbligatorio. Ad ogni apparizione pubblica della junta al governo, insomma, media plaudenti, silenzio di tomba sui fischi e le contestazioni, gran lavoro delle autorità di polizia per identificare i “sediziosi”, setacciare il pubblico per gli incontri del premier, dove non si entra se non si è provati sostenitori, e decidere, nel caso, a quale articolo del codice penale ricorrere. I video finiscono su Youtube, girano in rete, la contestazione negata dall’informazione e nascosta dai dipendenti del contestato diventa semiclandestina, una specie di samizdad negato al grande pubblico che di quelle grida sediziose non sa e non deve sapere. Andrea Camilleri l’ha chiamata la “sindrome del Raphael”, ricordando le monetine lanciate a Craxi qualche millennio fa: nascondere ogni dissenso è imperativo categorico. Contestatori, fischi, “urla sediziose”, tutto va negato e cancellato dai media, come nelle antiche e divertenti veline del regime, che si tratti della vita privata del premier (“Ricordarsi che le fotografie del Duce non vanno pubblicate se non sono state autorizzate” – 1936) o della crisi economica (“Non toccare l’argomento delle cosiddette code davanti ai negozi” – 1940). E questo si sa. La cosa più preoccupante, invece è il passaggio successivo: appurato che si può cancellare la realtà dai media, sbianchettare i tg di proprietà o controllati, premere sulla stampa; allo stesso modo si pensa di poterla cancellare dalle piazze, usare un questore, un vicequestore, un pubblico ufficiale come fosse un qualunque caporedattore dei tg di famiglia, insomma, un dipendente. “Identificatelo e portatelo via”. Detto e fatto. Signorsì, signore.

lunedì 1 giugno 2009

domenica 31 maggio 2009

sabato 30 maggio 2009

Una mattina



Mi ricordo che una mattina mi sono svegliato all'alba, con dentro un grande senso di aspettativa e ho pensato : "ecco questo deve essere il preludio della felicità, questo è solo l'inizio e d'ora in poi crescerà sempre di più".Non mi ha sfiorato l'idea che non fosse il preludio. Era quella la felicità, era quello il momento, era quello...

sabato 23 maggio 2009



Istituzioni Umiliate


di Nadia Urbinati



Cento deputati piacciono più di seicento al nostro presidente del Consiglio. Non c'è da stupirsi, perché corromperli o assoldarli o semplicemente metterli d'accordo con i suoi propri interessi sarebbe certamente meno costoso e più semplice. La relazione tra assemblee numerose e sicurezza della libertà l'avevano ben capita gli ateniesi di 2.500 anni fa, i quali proprio per evitare le scorciatoie nel nome della celerità di decisione istituirono giurie popolari numerosissime. Il loro intento principale era quello di impedire che nessun cittadino potente potesse condizionare le decisioni a suo piacimento. pensavano che nessuno disponesse di tanti soldi quanti ne sarebbero stati necessari per corrompere seicento giudici (tanti erano i giudici che siedevano nelle loro giurie). E qui siamo di nuovo: il capo dell'esecutivo, abituato a comandare sottoposti e stipendiati, non ama né tollera assemblee larghe di rappresentanti che sono chiamati a rendere conto a nessun individuo o gruppo di individui ma solo alla nazione, la quale non è un padrone ma la fonte della loro autorità. Ma per il capo dell'esecutivo le assemblee larghe sono pletoriche e poi dannose agli interessi di chi decide - ovvero del suo esecutivo. La logica del capo della maggioranza non è democratica ma è esattamente opposta a quella dei saggi democratici. Le assemblee deliberative devono essere non troppo piccole né troppo grandi, pensavano i Padri fondatori della democrazia americana. Se troppo piccole non possono più svolgere la loro funzione rappresentativa degli interessi più numerosi e diversi e inoltre possono facilmente dar luogo a unanimismi pericolosi o a "cabale" di fazioni. Se troppo grandi non possono svolgere efficacemente la funzione deliberativa, allungando i tempi di decisione e impedendo maggioranze stabili.


Ma in nessun caso una manciata di rappresentanti è una cosa buona per la democrazia. La politica non va per nulla d'accordo con la semplificazione, una qualità degli apparati burocratici e di chi è chiamato a eseguire ordini e applicare pedissequamente regole che non fa; non è una qualità dei rappresentanti e dei cittadini che contribuiscono a determinare le scelte politiche con la loro diversa e complessa partecipazione. Semplificazione è una qualità per la "governance" ma non per il "government" - la prima è organizzazione di funzioni che mirano a risolvere problemi specifici; ma il secondo è azione politica che solleva problemi, crea agende di discussione e di proposte, mobilita idee e interessi, e infine decide facendo leggi che tutti, non solo chi siede in Parlamento e non solo chi è parte della maggioranza, deve ubbidire. L'Italia si trova vicinissima a una svolta anti-democratica. L'attacco al Parlamento è un attacco alla divisione dei poteri e per affermare la centralità, anzi, il dominio di un potere sopra tutti: quello dell'esecutivo, che non ama eseguire o dover rendere conto e vuole fare quel che vuol fare senza impedimenti; che vuole fare tutto, legiferare e eseguire e, magari, anche determinare la giustizia. Semplificazione è l'equivalente di potere incontrastato. Nel 1924, Gaetano Mosca, un conservatore di tutto rispetto, tenne un discorso memorabile nel Parlamento del Regno. Lui, che aveva sviluppato la teoria forse più corrosiva della democrazia sostenendo, con il soccorso della storia, che quale che sia la forma di governo, tutti i governi hanno come scopo evidente quello di formare e selezionare la classe politica. Che siano le guerre o le elezioni dipende dal tipo di organizzazione sociale, dalle forme di espansione e arricchimento, forme che possono essere violente e dirette oppure pacifiche e per vie di commercio. Nella moderna società di mercato, sosteneva Mosca, l'elezione e l'opinione sono forme più funzionali alla selezione della classe dirigente. Ebbene, questo critico dell'ideologia democratica e parlamentaristica, alla vigilia della fine delle libertà politiche e del parlamentarismo liberale, si schierò in Parlamento in difesa di quella istituzione, di quella forma democratica di selezione della classe politica e di governo. Non luogo in cui si perdeva tempo a chiacchierare o un "bivacco" come Benito Mussolini lo chiamava, ma istituzione di controllo e di monitoraggio senza la quale nessun cittadino poteva più sentirsi sicuro. Tra i conservatori di oggi, tra i moderati (se ancora ce ne sono) chi avrà la stessa saggezza o lo stesso coraggio del conservatore liberale Mosca? La difesa del sistema parlamentare non è una questione che interessa o deve interessare solo l'opposizione. Tutti, tutti indistintamente dovrebbero comprendere il rischio che una società corre quando chi è stato eletto per governare con il sostegno del Parlamento cerca di governare con la connivenza di una assemblea amica.

venerdì 22 maggio 2009

Elezioni 2009


Quando ero ragazzino sentivo spesso i radicali parlare di Europa, e dire che l’Europa non ci sarebbe mai stata senza Spinelli, e che Spinelli e l’Europa erano praticamente concetti indivisibili. Così io sono cresciuto in questo mito dell’Europa e di Spinelli, tanto che appena sono state depositate le liste per le elezioni europee del 2009, di spinelli me ne sono fatti quattro, e ho cominciato a leggere, tutto speranzoso ed europeista come non mai. E in effetti, dopo tanti anni posso dirlo: senza spinelli sarebbe impossibile prendere sul serio l’approccio italiano all’Europa. Per dire: quando ero ragazzino io, non c’era il bancomat, non esistevano i telefonini, la sola idea di mandarsi della posta elettronica sembrava fantascientifica, ma in compenso c’era Ciriaco De Mita. Ora abbiamo in tasca decine di tessere magnetiche, possediamo uno virgola sei telefonini a testa, e riceviamo ogni giorno mail che ci dicono “enlarge your penis!”. Il fatto che ci sia ancora Ciriaco De Mita, in lista con l’Udc, mette in crisi in concetto stesso di progresso e affascina gli scienziati di tutto il mondo. Ma non vorrei che si pensasse qui che voglio sferrare un duro e virulento attacco a Ciriaco De Mita: prima dovrei riprendermi dalla sorpresa di saperlo ancora in vita. Mi piacerebbe invece sferrare un duro e virulento attacco a Emanuele Filiberto di Savoia, anche lui in lista con l’Udc, ma non avendo mai visto nemmeno una puntata di “Ballando con le stelle” potrei risultare impreparato. E’ colpa mia, mi rendo conto, ma in quelle lunghe sere invernali preferivo seguire alcuni telefilm polizieschi che indagavano su fatti terribili, come per esempio: chi ha sciolto dell’acido nelle macchinette del caffè alla sede dell’Udc?
Mi accorgo ora, riflettendo sulle liste elettorali per le europee, di essere prevenuto e stupidamente negativo. E’ sicuramente colpa della signora Veronica Lario e della sua campagna contro le avvenenti ragazze messe in lista dal suo futuro ex marito. Come tutti sanno, dal Borneo al Polo Nord, la moglie del primo ministro ha sputtanato il primo ministro denunciandolo come un addicted della patonza. Questo non farà che accrescere la popolarità dell’Italia nel mondo. Non c’è spiaggia caraibica dove il turista italiano non sia così apostrofato: “Taliano! Mafia, coca, figa!”. Può anche essere che anni di governi Berlusconi cambino l’ordine degli addendi. Eppure, nonostante la mia recente conversione all’estremismo giustizialista, non riesco a rinunciare a un minimo di garantismo. Bene, si moralizza! Era ora! Ma che razza di moralizzazione sarebbe togliere dalle liste qualche bella figliola gentile con papi Silvio, qualche vistosa ragazzetta già immortalata sulle sue ginocchia, qualche formosa ballerina dai visibilissimi pregi, e poi lasciare il lista Clemente Mastella? E’ un po’ come se il moralismo colpisse solo il lato pruriginoso della vita, senza sfiorarne nemmeno la vera oscenità. E dunque Mastella è lì, in lizza per il Parlamento Europeo nelle liste di papi Silvio per meriti acquisiti. E per meriti, sia detto en passant, ben superiori a quelli di qualunque velina al mondo. Come dire: brutta cosa, e inelegante, la gnocca travasata nella politica, ma poi – ed è un errore madornale – è la gnocca che fa scandalo, e la politica no. E così Clemente Mastella avrà di nuovo un suo scranno, e questa è vergogna pura, altro che qualche scappatella! Mi sono lasciato andare? Mi spiace. E’ che non sopporto questa faccenda di usare il Parlamento Europeo come una discarica per rifiuti speciali e particolarmente tossici. Una volta si usavano le coste della Somalia. Ora che laggiù ci sono i pirati è più sicuro scaricare a Strasburgo.
In compenso riesce il miracolo, una cosa che sembrava impossibile in natura. Già, è davvero un fatto storico: due partiti comunisti che si riappiccicano, mentre tutti gli studi, le ricerche, gli esperimenti e le prove simulate facevano intendere (a partire dal 1921) che i partiti comunisti e simili manufatti dell’uomo si potessero soltanto dividere. Come potrebbe però facilmente spiegarci la grandissima Margherita Hack, candidata dei Comunisti Riuniti, ogni fusione tra corpi produce attriti e scorie, ed ecco dunque orbitare intorno all’area della sinistra un nuovo astro, Sinistra e Libertà, a cui tutti augurano buona fortuna prima di correre a votare per qualcun altro. E poi, segnalato al largo di Orione, un affascinante ma misterioso Partito Comunista dei Lavoratori. Vorremmo dire di più, a questo proposito, ma le attuali tecnologie di osservazione non permettono di capirne abbastanza. L’infinitamente piccolo è sempre un problema anche se si possiede un microscopio elettronico.
Quanto ai fascisti, permettetemi il ricorso all’obiezione di coscienza: non parlo volentieri di questa roba. Mi limiterò a osservare che qualcuno deve averli bagnati dopo mezzanotte e loro, come i Gremlins, si sono moltiplicati. Ora abbiamo fascisti di varie specie. La Destra di Storace, che si presenta con nuovi alleati: Lombardo e Pionati. So cosa state pensando: che se questi sono gli alleati nuovi forse era meglio tenersi tedeschi e giapponesi, come settant’anni fa. Gli altri camerati per l’Europa sarebbero Forza Nuova, che presenta il giudice Sossi, famoso perché rapito dalle Br qualche secolo fa, e la Fiamma Tricolore, che di famoso non ha trovato nessuno, nemmeno coi rastrellamenti. A questo punto della mia ricerca mi è sembrato che mancasse qualcosa. Qualcosa di estremamente pittoresco e divertente, come se lo schieramento di destra mancasse di un tassello fondamentale, come se una figura centrale dell’orgoglio della nazione mi sfuggisse, e come se qualcosa di notevole si sottraesse alla mia memoria. Non dico una cosa importante, questo no, ma una cosa vistosa, con il suo peso e la sua intelligenza. Ed è proprio quest’ultimo dettaglio che esclude la Santanché. Boh, sarà qualcos’altro.Ma qui iniziano i dubbi. Dove mettere la Lega? Qui, insieme alla destra estrema, o in qualche altra categoria? Decido che il suo posto è qui per vari motivi. Perché Borghezio si è fatto recentemente beccare a spiegare ai nazisti come far finta di non essere nazisti. C’è un video su youtube, cercatelo. Ma non confondetevi: c’è anche il video del giocoliere monco e del petomane che suona l’Aida con il sedere, ed è facile confondersi. Piuttosto, tenderei a mettere qui la Lega per un altro motivo: avendo un referendum puntato alla tempia, si può dire che, come gli antichi camerati, si sta facendo prendere un po’ dal panico. Avete presente tutte quelle canzoncine e slogan con i teschi, la “bella morte”, lo sprezzo del pericolo, eccetera eccetera? Ecco, la lega sta per fare la stessa fine: era arrivata fino a Roma e presto potrebbe rintanarsi a Salò. Quelli là si fecero randellare persino dall’Albania e dalla Grecia. Questi qua, devono stare alla larga da Malpensa, perché se li prende un pendolare Alitalia sono dolori. Tra un po’ “gli operai che hanno votato Lega” (ambìti intervistati da talk show) faranno sì le ronde, ma per cercare i leghisti!
Veniamo ora alle dolenti note. Non si sa come andranno queste benedette elezioni europee, ma si sa perfettamente chi le perderà: il Partito Democratico. Nemmeno il Pil italiano ha avuto negli ultimi due anni più revisioni al ribasso dei democratici alle elezioni. Il 30. No. Il 28. No. Il 25. No. Certo, la politica non è il tresette! Ed è proprio per questo che tutti si chiedono come mai il Pd gioca a ciapànò. In compenso, viene premiata la coerenza. Capolista nelle isole sarà Rita Borsellino. Siccome rischiava di far vincere al Pd le regionali siciliane fu sostituita dalla Finocchiaro che perse quattro a zero. Meglio ancora vanno le cose al Nord: per mesi e mesi nelle stanze del Pd si sono chiesti… ma chi potremmo candidare come capolista per le Europee nel nordovest? Dopo accurate ricerche la scelta è caduta sull’unico politico democratico capace di una vera autocritica. Disse infatti Sergio Cofferati: “Se andassi in Europa sareste autorizzati a dire che sono un ciarlatano”. Autocritica preventiva, addirittura. E poi, sempre per coerenza, ecco Leonardo Domenici, l’uomo che fece il sindaco di Firenze durante gli anni più bui, più drammatici e pericolosi, quando una delle città più ricche del mondo rischiò di essere distrutta da quindici lavavetri. L’uomo costretto, durante il suo governo, a distribuire alla popolazione un manualetto che spiegava le nuove norme in materia di sicurezza, pubblicazione pagata con i soldi della Fondiaria di Ligresti. “Sono schifato, lascio la politica”, disse ai giornali. Eccolo in lista per il Pd: il modo più alla moda per lasciare la politica.
E ora, eccoci alla fine. Manca all’elenco soltanto l’uomo che vincerà le elezioni europee, Antonio Di Pietro. Molto si discuterà sul successo elettorale dell’Italia dei Valori, ma si può già dire che i suoi elettori si dividono in due categorie: quelli che votano Di Pietro per disperazione, e quelli che votano Di Pietro per sconforto. I primi desiderano premiare una formazione politica che si oppone a Berlusconi in modo rude e se volete ruspante. I secondi, invece, desiderano premiare una formazione politica che si oppone a Berlusconi in modo rude e se volete ruspante. I primi perdonano a Di Pietro e al suo partito certi eccessi verbali, certe uscite improvvide e certe – scusate il francesismo – sublimi puttanate. I secondi, di contro, perdonano a Di Pietro e al suo partito certi eccessi verbali, certe uscite improvvide e certe – scusate il francesismo – sublimi puttanate. Sono due elettorati molti diversi tra loro, che probabilmente pagherebbero per non votare per Di Pietro e per poter scegliere qualche alternativa politica all’esistente. E che finiscono – infatti – per votare Di Pietro per un motivo semplicissimo: altrimenti gli toccherebbe votare Pd. E a tutto c’è un limite.

Comitato vittime di Al Tappone


La condanna di Mills per essere stato corrotto da Berlusconi, ma non di Berlusconi per aver corrotto Mills, segna una new entry nell’esclusivo Club Vittime di Al Tappone. Ne fanno parte gli scudi umani del premier: il fratello Paolo, più volte arrestato al posto del fratello; Marcello Dell’Utri, condannato (dunque promosso deputato) a 9 anni in primo grado per mafia per il suo ruolo di «cerniera» fra Cosa Nostra e Al Tappone, il quale però non è stato nemmeno processato; Cesare Previti, condannato a 7 anni e mezzo (ed espulso dal Parlamento) per avere, fra l’altro, corrotto il giudice Vittorio Metta per regalare la Mondadori ad Al Tappone, il quale però uscì miracolosamente prescritto; Salvatore Sciascia, condannato (e dunque promosso deputato) per aver corrotto ufficiali della Guardia di Finanza affinché chiudessero gli occhi sui reati fiscali e contabili delle aziende di Al Tappone, il quale però fu assolto per insufficienza di prove; Massimo Maria Berruti, arrestato per aver depistato le indagini sulle tangenti Fininvest alla Guardia di Finanza e condannato (dunque promosso deputato) per favoreggiamento ad Al Tappone, il quale però era innocente e non aveva alcun bisogno di favoreggiatori; David Mills, condannato (e nemmeno promosso deputato) per aver coperto i reati di Al Tappone in cambio di una mazzetta di Al Tappone, il quale non può essere processato. Anzi fa pure l’incazzato, come se avessero condannato lui. Mentre esprimiamo la massima solidarietà agli scudi umani, ci sia consentito un appello: vittime di Al Tappone, unitevi. E fate come Veronica: parlate.

lunedì 27 aprile 2009

Figura di merda

Vogliamo chiamarlo ripensamento? Vogliamo chiamarla resipiscienza? Oppure vogliamo soltanto chiamarla figura di merda? Coraggio, non sarebbe la prima volta per il ministro Contro il Welfare Maurizio Sacconi fa una figuraccia. Vi ricordate quando - durante le trattative per la rapina Alitalia - diceva "si chiude giovedì"? Ah, ah! Vi ricordate quando intimidiva medici e cliniche sulla vicenda di Eluana Englaro? Bene, ora siamo all’ultima performance (solo in ordine di tempo): l’articolo 10 bis del nuovo testo unico in tema di incidenti sul lavoro, che in pratica escludeva l’arresto per i manager delle aziende. Furbo? Di più: furbo con valore retroattivo, perché con quella norma i manager della Thyssen Krupp di Torino la farebbero franca (e il processo Eternit, allora?). Per fortuna se ne sono accorti i parenti delle vittime e il presidente Napolitano, che ha chiesto di riscrivere la norma. Sacconi, beccato in flagrante, ha fatto finta di niente, ha fatto un po’ l’offeso (ma figuratevi! Ma come osate! Ma come vi permettete!…) e ha promesso di cambiare la norma. Insomma: come nelle gomme da masticare di quando eravamo bambini,… riprova, sarai più fortunato. Figura di merda, insomma. L’amico dei padroni ci ha provato. E pensare che va in giro a dire di essere socialista! Strani socialisti girano, eh!! Nella foto, il ministro Contro il Welfare Sacconi esce con le mani alzate

martedì 21 aprile 2009

Una matita nuova


Una matita nuova per il "Vignettista più infantile d'Italia"

da Il parlamentino dei ragazzi della Scuola media di Piverone (To)





Abbiamo conosciuto Vauro attraverso le sue vignette che parlano di infanzia, contro la guerra, contro le ingiustizia che ogni guerra produce soprattutto sull'infanzia.

Lo abbiamo conosciuto attraverso quello che fa con Emergency (è per lui che abbiamo incominciato ad appoggiare Emergency nella nostra scuola) attraverso quello che scrive nei suoi libri (alcuni di noi hanno letto "Kualid che non sapeva sognare"), lo abbiamo sentito parlare di persona, e ci ha colpito molto, così che abbiamo voluto dargli il riconoscimento di "Vignettista più infantile d'Italia", nel senso che riesce secondo noi ad immedesimarsi nei personaggi delle sue vignette, specialmente in quelle che rappresentano l'infanzia.

Per noi è un buon esempio, è coraggioso, è capace di stare vicino alle cose più brutte che capitano (i suoi bambini afgani sulle stampelle, che hanno perso le gambe sulle mine, ci fanno pensare, e mentre sorridiamo ci verrebbe da piangere).

Per questo vogliamo portargli la nostra solidarietà in questo momento in cui molti ce l'hanno con lui, non capiamo bene il perché. Vogliamo dare il nostro contributo per confortarlo con una vignetta che gli dedichiamo, fatta dalla nostra vignettista ufficiale (Loriana Pionna) a cui abbiamo dato l'incarico: se qualcuno gli rompe la matita, Vauro deve sapere che noi siamo disposti a fare una colletta per comprargliene un'altra.

Il "vignettista più infantiile d'Italia" (secondo noi) non può stare zitto.

martedì 14 aprile 2009

Il cardinale Ratzinger e la rivista antisemita


Non ci son santi: il pastore tedesco ha un vizietto che, nonostante i tentativi suoi e dei suoi fan, non riesce a nascondere e periodicamente salta fuori. Qualche giorno fa, ai primi di aprile, Rue89, un sito web francese «d'informazione e dibattito sull'attualità» ha messo in rete un articolo sulla collaborazione, nel '98, dell'allora cardinale Joseph Ratzinger a una rivista dell'estrema destra austriaca, filo-nazista e negazionista. Apriti cielo. Rue89 viene colpita dall'anatema e dall'accusa di volersi accanire ingiustamente con Benedetto XVI.Rue89. Rue89 è un giornale on line nato nel maggio 2007 da ex giornalisti di Libération, Pascal Riché, Pierre Haski e altri, in concomitanza con il secondo turno delle elezioni presidenziali francesi. Il primo scoop le fece una settimana dopo quando rivelò che il Journal de dimanche aveva censurato la notizia dell'astensione, in quel ballottaggio, di colei che era ancora la moglie del candidato e poi presidente Sarkozy, Cecilia. Questo su Ratzinger non è propriamente uno scoop. La notizia del vizietto che affligge il povero papa e dei tentativi un po' goffi per nasconderlo era già uscita. Su Der Spiegel, il settimanale tedesco del 16 marzo. Ancora prima, in febbraio, era stato il deputato social-ecologista austriaco Karl Öllinger a rivelare la nuova scivolatina di Ratzinger, invano smentita dall'archidiocesi di Vienna e dall'agenzia di stampa cattolica austriaca Kathpress che si erano provate a negare che l'allora Prefetto vaticano per la congregazione della fede avesse dato il suo permesso di pubblicare il testo incriminato.Die Aula. Die Aula è una rivista e una casa editrice (Die AulaVerlag) di estrema destra che a sede a Graz, in Carinzia, la terra d'origine di Jörg Heider, l'esponente simil-nazista austriaco morte nell'ottobre scorso quando si andò a schiantare ubriaco con la sua auto dopo un festino a base di birra e boys, e del suo successore Heinz-Christian Strache, capintesta del FPÖ, il Partito austriaco della libertà. Il mensile Die Aula è parte integrante della Freiheitlichen Akademikerverbände Österreichs, la Congregazione accademica della libertà, gruppi che riuniscono i simpatizzanti della FPÖ nei Länder austriaci, in cui militavano da giovani Haider e Strache. Rue89 ha pescato alcuni numeri di Die Aula, che esce dal lontano 1951, e ha trovato alcune piacevoli quisquilie. Un articolo del '94 in cui riabilitava in pieno il negazionista Walter Lüfti che negava l'esistenza delle camere a gas (tanto che perfino Haider, per non bruciarsi la carriera, aveva dovuto prendere le distanze), definito «una pietramiliare sulla strada della verità». Gli editori di Die Aula-Verlag, Herwig Nachtmann, Otto Srinzi e Jürgen Schwab sono tutti noti esponenti dell'estrema destra germanofila (o nazistofila) e antisemita austriaca. La rivista aveva inserito l'articolo del cardinale Ratzinger in un volume che si occupava di liberalismo e massoneria» rivedendo «criticamente la rivoluzione del 1848» in Germania.Der Spiegel. Der Spiegel, ripreso da Rue89, fa luce su come Ratzinger abbia dato l' assenso alla pubblicazione del suo saggio sulla rivista nazi austriaca smentendo le smentite dell'archidiocesi di Vienna. Il 18 settembre '97, un giornalista di Die Aula, Gerloch Reisegger, aveva chiesto per iscritto al cardinale Ratzinger «l'autorizzazione per la riproduzione» (Abdruckerlaubnis) di un suo testo scritto nel '95 e pubblicato sulla rivista cattolica Communio. Il 30 settembre '97, il segretario del cardinale, Josef Clemens, risponse in modo inequivocabile. Così: «Caro signor Reisegger. In relazione alla sua amabile lettera del 18 settembre 1997, sono autorizzato, su ordine del signor cardinale Ratzinger a informarvi che egli è d'accordo che il suo testo "Libertà e Verità" sia riprodotto nel mensile Aula della Freiheilichen Akademikerverbände Österreichs». Quindi era autorizzato, quindi sapeva cosa fossero Die Aula e la Congregazione accademica della Libertà. Quindi era d'accordo. Non a caso nel sito di Die Aula campeggia la foto del suo illustrissimo collaboratore. E quando fu eletto papa, nell'aprile 2005, a testimonianza di una bella amicizia, la rivista gli mandò un messaggio di congratulazioni. Questo: «Noi salutiamo il vostro arrivo. Protettore di Dio! Come uno della Gioventà hitleriana e del Corpo anti-aereo che allora protesse i vostri simili dalla bolba dell'olocausto anglo-americano! Santissimo padre sapresete combattere oggi con altrettanta determinazione l'olocausto dei bambini?»Libertà e Verità. Ma a parte la collaborazione alla rivista filo-nazi c'è il contenuto del saggio del futuro papa. Che è una violentissima filippica contro la democrazia, che «non è ancora la forma compiuta della libertà» e via di seguito. L'affare del vescovo negazionista inglese Williamson non è uno scivolone.