venerdì 4 dicembre 2009

Spatuzza



Quella «piccola spada» sul potere
di Enrico Deaglio


Il primo grande pentito di mafia arrivò, inatteso, all'aeroporto di Fiumicino il 15 luglio 1984 con un volo Alitalia da Rio de Janeiro. Tommaso Buscetta, 56 anni, uno dei più grandi trafficanti di droga del mondo, scese la scaletta dell'aereo indossando uno spropositata coperta a righe orizzontali che serviva a mascherare il giubbotto antiproiettile: un’idea degli allora giovani Gianni De Gennaro e Antonio Manganelli, gli ultimi due capi della Polizia di Stato italiana. Buscetta, come era successo per la sua vasta famiglia, correva il rischio di essere fatto fuori già all'arrivo.

Un anno dopo, con doppiopetto blu, gli occhiali scuri, i capelli tinti Buscetta fece il suo ingresso nell'aula bunker di Palermo, inseguito da urla belluine che venivano dalle gabbie degli imputati.

In dodici mesi, con le sue rivelazioni a Giovanni Falcone, aveva messo al tappeto Cosa Nostra, spiegando al mondo come era fatta quell'entità della cui esistenza stessa si dubitava. Poi ci mise nove anni ad aggiungere un dettaglio: «A proposito, Cosa Nostra ha un referente politico nel presidente del Consiglio Giulio Andreotti». E mezza Italia tirò un sospiro di sollievo quando il tribunale di Palermo sentenziò che sì, Andreotti era stato colluso, ma era stato tanto tempo prima e quindi gli italiani potevano continuare ad amarlo.

È passata una generazione. Sono passati almeno millecinquecento “pentiti”, la più grande diserzione da un esercito che fa giurare ai suoi soldati «possa io morire bruciato vivo se tradirò»; ma Cosa Nostra è ancora in piedi. E oggi a Torino, Gaspare Spatuzza, definito da Gianfranco Fini «una bomba atomica», si presenta in pubblico per accusare Silvio Berlusconi di essere stato il nuovo referente di Cosa Nostra, che evidentemente ha un debole per i presidenti del Consiglio.

Spatuzza, in siciliano «piccola spada», ha 45 anni, pochissima scolarità e il soprannome di «u tignusu», ovvero il calvo. (Un calvo che accusa un trapiantato, così va il mondo). Fa parte della famiglia di Brancaccio, il sedicente quartiere industriale di Palermo, comandata dai fratelli Giuseppe e Filippo Graviano e fortemente associata ai corleonesi di Riina e Provenzano. Per loro ha strangolato, sparato, messo bombe.

È di una fedeltà assoluta, tanto da chiamare il suo capo, Giuseppe Graviano, «Madre Natura» e diventa in breve un tecnico criminale polivalente e specializzato. Nel 1992 imbottisce di tritolo la Fiat 126 usata per far saltare in aria Borsellino e la sua scorta. Nel 1993 è lui ad organizzare tutto il trasporto delle centinaia di chili di tritolo, la logistica e lo staff della campagna stragista di Roma, Firenze e Milano. L’anno dopo è nel commando che uccide don Puglisi, poi si incarica di sciogliere nell'acido il bambino Giuseppe Di Matteo.

Nel 1997, quando è ormai ai vertici della cosca, la sua carriera finisce. Gli uomini dello Sco di Antonio Manganelli lo braccano e infine, dopo una sparatoria, lo bloccano all'interno dell’ospedale Cervello. Quel giorno appare l'unica fotografia: la maglietta a strisce, la faccia dura e la pelata di un trentacinquenne inviato al 41 bis. I suoi capi Graviano ci sono già da tre anni, arrestati a Milano in un ristorante, con le mogli salite da Palermo per fare shopping e un conoscente che vuol fare conoscere a Marcello Dell'Utri il figlio dodicenne, un vero fenomeno del football,perché lo inserisca nei pulcini del Milan

È l’unica parte buona di questa storia italiana, perché Gaetano D'Agostino è effettivamente diventato un campione, star dell’Udinese e possibile convocato ai mondiali.

Per il resto, la storia è tremenda, ma è purtroppo la storia in cui viviamo da quindici anni, ancora peggiore di quella che raccontò Buscetta e per cui furono uccisi Falcone e Borsellino. Se la narrazione ufficiale racconta della discesa in campo dell’imprenditore Berlusconi, che ha modernizzato l’Italia, portandovi la freschezza e il successo della sua carriera e ricevendo in cambio l'amore e il plebiscito continuo del popolo, la versione di Spatuzza è orribilmente opposta. Dice che Berlusconi (il capo carismatico) e Dell'Utri (il fondatore del Partito) erano in affari con Cosa Nostra e che assecondarono la campagna delle stragi. Che Cosa Nostra si comportava come se le televisioni di Berlusconi fossero, almeno in parte, cosa loro, perché ci avevano messo i loro soldi, come pure nella Sardegna immobiliare e nell’edilizia milanese, che loro e Berlusconi sono saliti insieme, che Berlusconi aveva promesso di mandare a casa i carcerati e che poi non l'ha fatto, che loro gli hanno portato i voti e il potere e non hanno avuto nulla in cambio.

Gaspare Spatuzza racconta queste cose da almeno un anno ai magistrati di Palermo, di Caltanissetta, di Firenze, che lo giudicano credibile, ben informato, riscontrato. Appena ieri lo hanno ammesso nel programma di protezione: cambierà nome e quasi sicuramente avrà anche lui un trapianto di capelli.

Marcello Dell'Utri ha reagito in maniera sofferta (la testimonianza di Spatuzza potrebbe farlo condannare anche in Appello, l’eroico
sacrificio dello stalliere Mangano potrebbe non essere stato sufficiente), ma Berlusconi è stato il contrario, proponendo di fatto il rogo per tutto ciò che ha parlato di mafia: i libri, i film, le fiction, la grande intossicazione del cervello collettivo e si è riproposto come anagraficamente innocente: egli è infatti, come tutti sanno, milanese e della mafia conosce solo delle barzellette. Gli italiani capiscono, e se non capiscono con le buone, capiranno con altri metodi. Ed è significativo che consideri pericolosi solo le immagini e le parole. I politici non gli fanno paura: loro sanno già e hanno accettato.

Dopo 16 anni (anni melmosi, di sussurri e veleni) Spatuzza arriva a Torino, 1200 km a nord di Palermo. La sua presenza a Palermo è stata considerata troppo pericolosa, farlo parlare in videoconferenza è troppo poco, la Corte vuole guardarlo negli occhi, vedere quanto è davvero pentito. Lui, dopo dieci anni di carcere duro, si è convertito, chiama tutti «mio fratello in Cristo», studia teologia.

Era stato un vero Griso, che tolse duecentomila lire dal portafoglio di don Puglisi e pure le marche da bollo della patente. Era uno che con una mano rimescolava le ossa dei cadaveri nell'acido e con l'altra si mangiava un panino. Dovrà dimostrare di essere Fra Cristoforo.

Nessuno lo vedrà in faccia, forse si vedrà la punta di una scarpa dietro il paravento che in ospedale per proteggere gli altri dalla vista di un malato terminale. Si sentirà la voce, dicono che Gaspare il calvo parli un italiano comprensibile. Se avrà tentennamenti, pause, cali, bisbigli.

Torino è adatta per questa testimonianza: città efficiente, lontana, scettica e pur sempre Italia.
Le voci sono gozzaniane: ma chi è ‘sto Spatuzza? Ma c’è da fidarsi? Ma non è un po' tutta un’esagerazione? Bloccheranno il traffico? Ma era proprio necessario?

L’organizzazione è sabauda: la Polizia è incaricata di gestire il convoglio che parte dal carcere (Alessandria? Novara? Chissà?) verso il moderno Palazzo di Giustizia e poi ripartirà per destinazione ignota. Vigili allertati, al massimo una o due strade chiuse. L’elicottero che fa già flap flap. Le Procura Generale distribuisce celermente gli accrediti, molti i giornali stranieri. L'aula 1 è capiente, sta già ospitando il processo per il rogo della Tyssen. Pubblico non ce ne sarà, non siamo ai tempi del processo di Cogne, quando tanta era la folla che si decise di distribuire i bigliettini, come per le visite oculistiche della mutua: tutti volevano vedere negli occhi la mamma, se era davvero bella e se aveva gli occhi da assassina. Previsioni del tempo: nuvolo con pioggerellina al mattino, ampie schiarite nel pomeriggio. Possibilità di avviso di garanzia per concorso in associazione mafiosa con finalità di strage a Silvio Berlusconi: non calcolabile.Spirito del tempo: brutta sensazione che stia per succedere qualcosa.
04 dicembre 2009

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