sabato 19 settembre 2009

Gioco


Quindi il nuovo gioco dell momento è la caccia ai gay. Bisogna comprendere: gli zingari avevano già stufato da un pezzo, e poi i campi nomadi hanno fatto finta di chiuderli in tutta Italia, dopo averne incendiato anche più d’uno a scopo dimostrativo. I negri clandestini anche, avevano stufato, e poi si ammazzano da soli stando per più di venti giorni in mezzo al mare, senza cibo e senza acqua. Va bene, lo so che siamo il Paese in cui si portavano panini con la mortadella e le bottigliette dell’acqua, fuori da un ospedale nel quale da anni una giovane donna morta veniva costretta alla vita larvale da un Parlamento di bigotti, ma c’è vita umana e vita umana. Quella negra è la vita umana del terzo tipo, del quarto mondo. Volevano giocare un po’ con i meridionali, e avevano iniziato bene inventandosi l’esame di dialetto prima per i presidi, poi per il corpo docente, ma hanno dovuto ripiegare alle sole badanti – di razza inferiore – e alle squadre di calcio. Non avevano fatto bene i conti, e non avevano ancora calcolato le percentuali di elettori che avrebbero potuto rivoltarsi. E allora che si inizi pure la caccia al gay, in fondo è il «diverso» per antonomasia. Per un accoltellamento di un gay, per un incendio di un locale di ritrovo per gay non si incavolerà nemmeno la Chiesa. E a proposito della Chiesa, trovo curioso e divertente lo scannarsi con la Lega. Peccato che un leghista qualunque non si fermi a ricordare i bei monologhi di certi personaggi vestiti di verde, che rivendicavano le profonde radici cristiane della Padania, e invocavano le guerra santa contro i musulmani che arrivano a frotte in Italia, per il solo gusto di far sparire i crocefissi. I comunisti verrano dopo i gay, o toccherà davvero ai meridionali? C’è solo da attendere, e nemmeno tanto. L’Italia è oramai un Paese in continua evoluzione.

domenica 13 settembre 2009

La Lega e la memoria di Peppino Impastato


C’era da immaginarselo, mancava solo la scintilla e la bomba del contrasto tra la nostra realtà e la Lega sarebbe scoppiata. Il Sindaco di Ponteranica con la sua decisione autoritaria e antidemocratica di cancellare dalla Biblioteca del paese il nome di Peppino ha avvicinato il cerino alla miccia. Da tempo non riuscivamo a tollerare l’atteggiamento di questo partito di esaltati che ha finito per condizionare le sorti della nostra democrazia.
Sembra quasi paradossale che un paese come il nostro destinato anche dalla sua posizione geografica all’accoglienza e agli scambi interculturali, alla fusione delle etnie e ad essere la porta d’Europa verso l’Oriente e l’Africa sia finito nelle redini di questi nuovi barbari senza radici e senza cultura.
E’ logico che tali soggetti non conoscano affatto l’importanza della memoria storica e delle battaglie civili condotte in terra italiana e considerino Peppino e la sua lotta come un rifiuto ingombrante da eliminare che ricorda troppo un vecchio passato politico fatto di ideali, di sogni, di sconfitte e piccole rivoluzioni. Un passato che, in realtà, non ha mai smesso di esistere, ma che rivive nella determinazione di quanti continuano ad impegnarsi perché credono nell’alternativa possibile alla degenerazione sociale e politica e vengono continuamente calpestati da questi politicanti populisti, ignoranti, incapaci di democrazia. Sembra quasi che il mondo politico oggi raccolga quanto di peggiore ci sia nella società e soprattutto la Lega funziona perfettamente da pattumiera, riciclando anche qualche fascista che già puzza di marcio. Immaginate un Borghezio o un Calderoli qualsiasi ricoprire un qualsiasi altro ruolo o occupazione lavorativa, chessò all’ufficio postale o alla bancarella del mercato, come cameriere al ristorante o come addetto alla reception di un albergo; come autista di un autobus o ancora come infermiere che accolga al pronto soccorso: riuscirebbero a dimostrare quella minima comprensione, quella minima pazienza o tolleranza che sono necessari per relazionarsi con le persone e superare anche le piccole difficoltà? Immagino di no.
Ecco, Peppino era l’esatto contrario, aveva sì grinta da vendere e forza d’animo, ma sapeva investirla in operazioni costruttive, la nutriva con i suoi sogni, che trasmetteva anche agli altri al contrario di chi sparge invece incubi e angoscia. Peppino ascoltava, recepiva, accoglieva a braccia aperte, come fece con l’unico ragazzo mulatto che girava a Cinisi negli anni ’60, figlio di una relazione di una cittadina del paese con un soldato afro-americano che da giovane disadattato ed emarginato divenne uno dei suoi migliori compagni di lotte e divertimenti al mare.
Possibile che il popolo italiano sia caduto così in basso da accordare il proprio appoggio a chi sta compiendo ancora oggi nel 2009 terribili atti razzisti e criminali, costringendo migliaia di nostri simili ad una sicura morte nelle acque del Mediterraneo o all’abbandono nei campi di segregazione libici e nelle prigioni dove la tortura è il pane quotidiano? Possibile che siamo così pronti a portarci sulla coscienza il peso di così tante vite spezzate o distrutte?
Sono contento che un partito come la Lega sia contrario alla memoria di mio fratello, perché in effetti nulla ha a che fare con loro e con la loro voglia di sopraffazione e di violenza, con la vergognosa segregazione consumata ai danni non solo dei migranti, ma anche dei cittadini del meridione, degli omosessuali e di quanti non rientrino nei loro standard: alto, biondo, camicia verde e spirito folle e sadico. Cos’è questo, il nuovo hitlerismo, oltre che il nuovo fascismo? Davvero è cambiato solo il colore delle insegne?
Non ci rendiamo nemmeno conto che questi che si dicono conservatori e tutori delle tradizioni e delle culture locali, in realtà, stanno cancellando tutto lo spirito tradizionale che animava le nostre comunità, tutte le nostre sonorità, il nostro bagaglio di culture e di gioie, sostituendolo con stronzate sulla falsa origine celtica dei padani, simboli e bandiere senza radici storiche e leggende che sembrano inventate da un sceneggiatore di film di serie c o di scarse fiction televisive.
Voglio ancora sperare che tutto questo possa sparire, che gli Italiani abbiano ancora un briciolo di orgoglio per ribellarsi, per liberare il paese da quelle storture che sono la mafia al sud e la lega al nord, rifacendoci all’ignoranza di quanti sostengono che la criminalità organizzata sia un problema esclusivamente meridionale.
Per questo invito tutti il 26 settembre a Ponteranica, non solo per difendere la memoria di Peppino, ma anche la dignità di questo paese.

lunedì 7 settembre 2009

Regali originali


WASHINGTON - Ha un valore di 460 mila dollari il prezioso volume dalla copertina in marmo donato dal premier Silvio Berlusconi al collega canadese Stephen Harper in occasione del G8 all'Aquila, secondo gli esperti canadesi citati dal quotidiano 'Toronto Star'.
Il libro su Antonio Canova, con la copertina in marmo di Carrara e dal peso di 25 kg, era stato donato ai leader dei paesi partecipanti al vertice. Il volume è stato prodotto in un numero limitatissimo di esemplari ed al Canada è toccata la copia numero uno.

Il premier canadese non potrà tenere per sè il prezioso volume: la legge federale proibisce ai politici di accettare doni dal valore superiore ai mille dollari. Il libro, di proprietà del governo, finirà quindi in un museo.

domenica 6 settembre 2009

Trasformismo


http://www.youtube.com/watch?v=9blS8S_J_I4

mercoledì 2 settembre 2009

Padre e figlio


Torino
È l’unico cognome italiano sul citofono. Via Monterosa, vecchia casa di Barriera, odori che si mischiano: aglio, pesci fritti, menta. È l’ora di cena. Interno cortile. Le finestre sono spalancate sui fatti degli altri. Alle otto di lunedì sentono urlare dalla cucina degli italiani. Insulti al secondo piano. Un ragazzino, 16 anni, piange. Poi grida anche lui. Volano piatti. Minacce, botte. La situazione sta degenerando. Qualcuno chiama i carabinieri.

La prima segnalazione parla genericamente di una «lite animata in famiglia». Un intervento banale, ogni giorno ce ne sono tanti. Arriva un equipaggio del nucleo radiomobile. I militari salgono, vanno a vedere. La situazione in effetti è ancora molto tesa. Padre contro figlio. E viceversa. Ma dietro quella lite in famiglia, scoprono, dopo aver parlato con entrambi, c’è un motivo particolare. «Gli ho detto che sono omosessuale», ha spiegato il ragazzino. «Lui lo sa benissimo, ma non vuole accettarlo». Il padre conferma. La madre piange nell’angolo. I carabinieri fanno tornare la calma. Verificano che nessuno si sia ferito seriamente. Solo qualche livido, escoriazioni, rabbia viva. Non ci sono gli estremi per denunciare qualcuno. Spiegano che si può «procedere solo con una querela di parte».

Il giorno dopo il clima in via Monterosa è ancora teso. Un vicino racconta: «È la seconda volta in pochi giorni che devono intervenire le forze dell’ordine. Anche la polizia è stata al secondo piano. I rapporti con quel ragazzino sono molto tesi».
Il padre, origini pugliesi, faccia pallida da chi ha lavorato tutto agosto, è un uomo di cinquant’anni. Fa il muratore. Scende a parlare, molto provato: «Non è successo niente. Sono fatti nostri. Questa storia non deve uscire da qui». Il fratello maggiore, 19 anni, è sulla stessa lunghezza d’onda: «Non c’è niente da dire, nulla di nulla. Niente da spiegare. Cose nostre. Altrimenti finisce male».
Forse il ragazzino vorrebbe dire la sua. Ma non esce di casa per tutta la mattina. La madre chiude le persiane sul ballatoio: «Sono fatti di famiglia. È un brutto dolore, lasciateci stare».

Non è possibile conoscere dal diretto interessato questa storia. Anche il telefono di casa squilla a vuoto. Nessuno risponde.
«È un ragazzino basso di statura, timido, molto gentile - dice un vicino - va a scuola, studia, passa i pomeriggi ai giardinetti qui dietro». Non ieri. Non dopo le botte in casa. «Sono gay - ha detto - voglio soltanto essere accettato». Ma il padre si opponeva, prima a parole, poi come una furia, come se fosse una decisione negoziabile.
Ai giardini lo conoscono quasi tutti. Sulle panchine qualcuno ha fatto alcune scritte sul tema: «... è frocio». Ma anche qui non è facile trovare persone che abbiano voglia di parlare dell’argomento. «Il padre soffre tantissimo per questa storia, lasciatelo perdere. È una vera disgrazia».

Per fortuna nel palazzo abita Rachid, un ragazzo marocchino di 25 anni. Lui ha capito benissimo quello che sta succedendo, anche senza bisogno di spiegazioni. «L’altra sera ho sentito il litigio. Non è la prima volta che succede. Ma è stato particolarmente violento. Ce l’hanno con il figlio minorenne. Per me è un bravissimo ragazzino, un tipo a posto, simpatico, qui gli vogliamo tutti bene. Ma ho sentito troppa rabbia in quella casa, non è giusto. Il piccolo italiano non va lasciato solo».

martedì 1 settembre 2009

Feltri/boffo




Prima di dare a Feltri ciò che è di Feltri, bisognerà pur dire qualcosa anche su Dino Boffo, direttore dell’Avvenire, il quotidiano della Conferenza episcopale italiana. Cioè del quotidiano che non ha mai detto una parola contro le leggi vergogna, le corruzioni, i rapporti con la mafia, gli attacchi alla magistratura e alla Costituzione, i conflitti d’interessi del presidente del Consiglio, e s’è svegliato appena appena dal letargo soltanto quando s’è scoperto che il premier aveva una vita sessuale piuttosto intensa e poco compatibili con un partecipante al Family Day, sedicente difensore della famiglia tradizionale di Santa Romana Chiesa. Come se andare a puttane fosse più grave che trescare con stallieri e mazzette. Siccome abbiamo battezzato il nostro nuovo giornale Il Fatto Quotidiano, non possiamo certo ignorare il Fatto emerso dal cosiddetto “scontro fra Feltri e il Vaticano”.

E cioè che il direttore di Avvenire, che s’è fieramente opposto ai diritti per le coppie omosessuali, ha patteggiato a Terni una pena pecuniaria di 516 euro per aver molestato la compagna di un tizio che, secondo quel che risulta dagli atti giudiziari, aveva con lui una relazione omosessuale; e, per ottenere il ritiro della querela, ha pure risarcito con una forte somma la vittima delle molestie. Boffo ha affidato la sua autodifesa al Corriere di ieri, sostenendo che le molestie sarebbero opera non sua, ma di un giovane tossicodipendente che lui aveva “aiutato” prendendolo come suo assistente o qualcosa del genere, giovane che avrebbe usato il suo telefonino per molestare la signora. Il giovane, quando si dice la combinazione, è poi morto di overdose e dunque non può né confermare né smentire la versione di Boffo. Ammesso e non concesso che le cose siano andate così, non si vede perché mai Boffo abbia patteggiato la pena: la responsabilità penale è personale, e dunque nessun giudice l’avrebbe mai condannato per un reato commesso da un altro, sia pure usando il suo telefonino. Ci permettiamo dunque di dubitare della versione di Boffo, visto che lui stesso l’aveva ritenuta così poco credibile da non tentare nemmeno di proporla al giudice in dibattimento, preferendo patteggiare prima di finire in tribunale, cioè dopo il rinvio a giudizio.

Resta da capire perché mai i vescovi italiani, che qualche mese fa avevano ricevuto in forma anonima la sentenza di patteggiamento, non abbiano ritenuto di accertarne la fondatezza e di sostituire il direttore di Avvenire. Non perché Boffo risultasse, dagli atti del processo, un omosessuale, ma per altri due motivi: il suo essere omosessuale non era affatto coerente con le posizioni di Boffo e dei vescovi italiani sugli omosessuali; e un patteggiamento per molestie dovrebbe essere incompatibile con un quotidiano e un’associazione (la Cei) che difende – in questo caso giustamente – i diritti della persona umana.

Se oggi è comprensibile e forse doverosa la solidarietà che i vescovi hanno tributato a Boffo, ieri, quando hanno appreso la notizia del patteggiamento, quella solidarietà è semplicemente incomprensibile e sconcertante. Senza contare che, nel paese dei ricatti e dei ricattatori, sarebbe consigliabile non essere ricattabili (lo dico en passant, ma un anno fa D’Avanzo fece quel che oggi giustamente stigmatizza in Feltri, sbattendo in prima pagina il sottoscritto a proposito di vacanze pagate da un mafioso: con la lievissima differenza che il fatto era falso di sana pianta, come ho potuto documentare per tabulas, mentre il patteggiamento di Boffo è vero).

Che cosa c’è di vergognoso, allora, nello “scoop” del Giornale? Che cosa c’è che non funziona nella posizione di Feltri, il quale sostiene di aver scritto semplicemente la verità?

Tre aspetti. 1) La notizia della condanna di Boffo è vecchia di cinque anni e circolava nelle redazioni da tempo, tanto che era già stata addirittura pubblicata su giornali e siti internet (il blog di Adinolfi anni fa e il settimanale Panorama a giugno). Quando uno riceve una notizia, controlla se è autentica e se ha un interesse pubblico, poi la mette in pagina con il giusto rilievo. Ovviamente la notizia era vera e di interesse pubblico, ma non meritava il titolo principale della prima pagina. Perché pubblicarla (anzi, riciclarla) con quel rilievo e proprio ora? 2) Feltri, con la spudoratezza che gli è propria, l’ha spiegato nell’editoriale di accompagnamento. “La Repubblica da tempo si dedica alla speleologia e scava nel privato del premier (come se la notizia che la moglie del premier lo definisce un malato e lo accusa di andare con le minorenni e quella che il premier è stato cliente di una prostituta poi candidata nelle liste del Pdl alle comunali di bari fossero notizie private, ndr) e l’Avvenire ha messo mano al piccone per recuperare materiale adatto a creare una piattaforma su cui costruire una campagna moralistica contro Silvio Berlusconi… Se il livello della polemica è basso, prima o poi anche chi era abituato a volare alto (Feltri!, ndr), o almeno si sforzava di non perdere quota, è destinato a planare per rispondere agli avversari”.

Prima parola chiave: “avversari”. Feltri confonde gli avversari di Berlusconi con quelli di uno che, fino a prova contraria, dovrebbe essere un giornalista. Dunque smette di essere un giornalista e rivendica il diritto di randellare gli “avversari” del suo padrone. E aggiunge minaccioso: “Cominciamo da Dino Boffo, 57 anni…”. Come sarebbe a dire “Cominciamo”?

L’abbiamo capito l’indomani, quando anche Ezio Mauro, altro “avversario”, ha assaggiato il randello feltriano a proposito delle modalità di acquisto della sua casa (altra notizia stranota, ma debitamente montata, riciclata e sbattuta in prima pagina). Dobbiamo pensare che esiste una lista di “avversari” da colpire uno al giorno, come quella a suo tempo stilata dall’analista del Sismi Pio Pompa (il reclutatore di Renato Farina, in arte Betulla, condannato a pena patteggiata per concorso nel sequestro di Abu Omar, espulso dall’ordine dei giornalisti per essere stato prezzolato dai servizi segreti e dunque eletto deputato nel Pdl e appena rientrato al Giornale al seguito di Feltri), che li additava al premier Berlusconi e proponeva di “neutralizzarli e disarticolarli anche con azioni traumatiche”? Chi ha notizie interessanti e vere le pubblica subito e basta: non le tiene nei cassetti per tirarle fuori quando chi ne è protagonista dà fastidio al suo padrone. 3) L’articolo del Giornale riporta, oltre alla sentenza di patteggiamento, una cosiddetta “nota informativa che accompagna e spiega il rinvio a giudizio del grande moralizzatore disposto dal Gip del Tribunale di Terni il 9 agosto del 2004… ‘Il Boffo – si legge – è stato a suo tempo querelato da una signora di terni destinataria di telefonate sconce e offensive e di pedinamenti volti a intimidirla, onde lasciasse libero il marito con il quale il Boffo, noto omosessuale già attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni, aveva una relazione’…”. L’altro giorno D’Avanzo aveva giustamente messo in dubbio l’esistenza di questa “informativa”: sia perché è impensabile che la Polizia di uno Stato democratico “attenzioni”, cioè schedi le persone per i loro orientamenti sessuali; sia perché è assurdo immaginare che un giudice alleghi all’ordinanza di rinvio a giudizio (a carico di un tizio ancora da giudicare in tribunale) una “nota informativa” che racconta il patteggiamento (avvenuto ben dopo il rinvio a giudizio).

Ieri Paolo Foschini, sul Corriere, ha pubblicato quella nota: che non è affatto un documento giudiziario o poliziesco allegato al rinvio a giudizio di Boffo, bensì una lettera anonima giunta a diversi vescovi allegata alla sentenza di Terni. Lettera anonima che il Giornale ha riportato in alcuni passi testuali, spacciandola per “nota informativa che accompagna e spiega il rinvio a giudizio del grande moralizzatore disposto dal Gip del Tribunale di Terni il 9 agosto del 2004”. Un anonimo, che nessuno sa da chi sia stato scritto, nè perché, nè in base a quali informazioni, che il Giornale ha consacrato falsamente con i crismi dell’ufficialità per sputtanare ulteriormente Boffo. Come se non lo fosse già di suo. Ma anche per intimidire tutti gli altri “avversari” del premier, cioè del Giornale. Roba da riabilitare Pecorelli.