martedì 27 gennaio 2009

Dario Gay è gay


Sono nato Dario Gay, pensate l'ironia del mio destino: Gay fin dalla nascita


Nel corso della mia vita ne ho sentite di tutti i colori a proposito delle mie generalità! Un notissimo collega romano, incontrato ad una partita della Nazionale Cantanti, mi chiese: "Ma perchè te fai chiamà Gay? Da come te vedo, me sa che nun è come Gay ma come Gajardo." Probabilmente si immaginava questi "gay" tutti con piume di struzzo e tacchi a spillo, indumenti che in quell'occasione non indossavo, oppure con atteggiamenti impreziositi da mossette, sculettamenti e urletti tipo il divertentissimo cameriere nero del "Vizietto". Per carità, penso che ogni essere vivente sia meraviglioso nella propria integrità, quindi anche io nella mia veste di uomo gay di tipo "maschile" (che tristezza dover fare ancora dei distinguo), ma questo è un aspetto che molti non credono possa esistere, nemmeno il notissimo e simpaticissimo cantante romano.


Un altro collega romano mi disse "Te chiami proprio Gay? Che culo", il mio grande amico di sempre Enrico Ruggeri, con l'ironia e l'intelligenza che da sempre lo contraddistinguono, ipotizza da anni la pubblicazione di un mio cd dal titolo "Dario Gay: un nome, un destino", con la mia carta d'identità in copertina. Però quando firmai il mio primo contratto discografico, nel 1988, mi venne quasi imposto di trasformare il mio vero cognome Gay in Gai, per evitare possibili errori di pronuncia (il mio cognome si pronuncia all'italiana, Gai e non Ghei) ed eventuali discriminazioni. Fui invitato con fermezza a non dichiarare mai la mia omosessualità né a farla trapelare ed io, all'epoca molto giovane, inesperto ed eccitato all'idea di poter finalmente fare dischi, concerti e tutto quello che fa parte del lavoro che fin da bambino sognavo di poter fare, non ebbi il coraggio di oppormi e riuscii per un bel po' di tempo a nascondere il mio privato. Mi aiutava sicuramente il mio modo di essere, di muovermi non effeminato. Tuttavia partecipai a Sanremo con una discussa canzone che inneggiava ai "viados", le trans brasiliane che in massa erano sbarcate in Italia in quegli anni, "Sorelle d'Italia", appoggiato e sostenuto dalla mia casa discografica che volle a tutti i costi presentarmi con quel brano.Al di là del mio viaggio artistico sono una persona che per varie ragioni ha avuto grandi difficoltà nel proprio percorso affettivo ed espressivo. E' stato un po' come quando in certe aziende le donne vengono assunte purché non in vista di matrimonio e quindi (orrore) nemmeno di maternità. Ecco, io non "dovevo" essere gay. E nemmeno Gay. Oggi la cosa mi diverte, ma all'epoca fu di grande intralcio alla mia vera natura che per questioni di lavoro, dovevo nascondere


Gli anni passarono in fretta, i contratti discografici anche, e la mia coscienza cresceva con me. Cominciai a scrivere le canzoni così come le sentivo, se Nek cantava "Laura non c'è", perché io non avrei dovuto cantare "Ti sposerò" promettendolo a Marco? Il mio coming-out non è avvenuto in pompa magna, semplicemente ho smesso di subire censure sulle mie canzoni, sulle mie dichiarazioni pubbliche. D'altra parte non ho mai finto di essere quello che non sono mai stato, ho sempre frequentato gli ambienti gay e non ho mai nascosto le mie storie d'amore. Né ho mai incontrato razzismo tra i miei amici, tra i miei parenti e nemmeno nei condomini nei quali ho vissuto senza nascondere a nessuno che il mio coinquilino era anche il mio compagno.


Questo naturalmente non significa affatto che tutto il mondo sia così sereno come quello che ho avuto la fortuna di frequentare io. Devo dire che da quando scrivo e canto canzoni anche a "tematica gay", come la sigla del Gay Pride 2001 "Domani è primavera", o la sopra citata "Ti sposerò", a parte Radio Popolare e pochissime altre, non sono mai stato trasmesso dalla maggior parte delle emittenti, né ho trovato una multinazionale disposta a distribuire i miei dischi.

E non perché siano brutti dischi, vi assicuro.
Oggi succede invece che di gay si possa finalmente parlare, addirittura a Sanremo. Certo, lo scorso anno ha cominciato la Tatangelo, con quella brutta canzone "Il mio amico", che in fondo voleva essere, anche se molto molto ingenuamente, "in difesa" degli omosessuali. Qualcuno l'ha definita un involontario caso di comicità. Quest'anno, invece, la cosa si fa molto più seria. Perché la Tatangelo era sicuramente in buona fede, mentre il signor Povia non lo è affatto. Non mi sono mai pronunciato sull'argomento, non conoscendone il testo esatto.


Ma le dichiarazioni rilasciate dal cantautore anche prima di questo caso la dicono lunga… A quanto pare il messaggio che si cercherà di far passare è proprio quello agghiacciante dell'omosessualità intesa come una malattia, teoria ampiamente smentita da tempo ormai immemorabile. Viene quindi sostenuta la teoria e la "terapia" di Nicolosi, folle e contrastata da scienziati, psichiatri e psicologi. Oltretutto il Codice deontologico dell'Ordine degli psicologi dice espressamente che nessuno psicologo può effettuare terapie atte alla modifica della sessualità di qualsiasi persona.
In un momento storico così importante per la nostra comunità, in lotta continua per vedere riconosciuti i più elementari diritti civili, dovendo però rispettare ogni dovere come ogni altro cittadino, arriva "bello bello" Povia a dire a Sanremo che i gay possono guarire.


E non è vero che stiamo dando troppa importanza a un festival di "canzonette", perché questa manifestazione arriva in moltissime case italiane, e anche se una canzone racconta una storia specifica, diventa patrimonio di tutti, perché lo scopo di una canzone è quello di sperare che molta più gente possibile possa identificarcisi. In questo momento, caratterizzato dalle gravissime dichiarazioni e posizioni del Vaticano rispetto alla comunità glbt e dai politici che sembrano oramai sordi a qualunque voce che richieda attenzione verso le nostre oggettive difficoltà, quello che Povia va a fare a Sanremo diventa inaccettabile. Intorno alla sua canzone ruota uno staff, Paolo Bonolis e tutta la commissione selezionatrice.



Lo scorso anno Povia aveva cercato di farsi notare accusando Pippo Baudo di non averlo ammesso al Festival perché, a suo dire, erano stati accettati solo artisti "di sinistra", quindi lui escluso perché "di destra". A parte il fatto che lo scarso spessore umano, culturale e intellettuale di Povia (idea che mi sono fatto leggendo le sue molte dichiarazioni a dir poco imbarazzanti oltre che discordanti tra loro, vaghe e prive di cognizione), mi porta a pensare che per lui la destra sia la mano con cui si mangia e si scrive e la sinistra l'altra (ma forse si starà anche battendo per una terapia che faccia guarire i mancini!...), resta indiscutibile la connotazione politica della sua partecipazione al Festival di Sanremo. Povia ha prestato il fianco ad un'operazione che gli si potrebbe facilmente ritorcere contro, vista la sua buona dose di ignoranza su certi argomenti. Non si rende probabilmente nemmeno conto di quanto lo stiano usando, convinto com'è di essere lui a usare gli altri.
E pensare che Povia mi era tanto simpatico, quando cantava quelle canzoni-favoletta come "I bambini fanno ooooh" e quella del piccione! Sarei diventato un suo fan, se avesse cantato una storiella di ranocchietti ed anatroccoli allegri, o all'inglese… gay.

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